Tra le tante concessioni spesso ignorate offerte ai dipendenti pubblici, di particolare interesse – ed anche al centro di numerose critiche, ma ci arriveremo – è sicuramente il congedo straordinario concesso a chi decide di conseguire i dottorati di ricerca investendo tre anni della sua vita in una formazione che (naturalmente) può essere utile a migliorare le sua capacità in un determinato ambito: una concessione che osservata da questo semplicissimo punto di vista è ben lungi dal poter essere criticata dato che lo stato concede di acquisire i dottorati di ricerca senza perdere il lavoro per migliorare le performance dei dipendenti; ma che al contempo nasconde anche parecchie insidie.
Partendo dal principio, è bene dire che il congedo straordinario per i dottorati di ricerca funziona esattamente come si potrebbe pensare: al dipendente della pubblica amministrazione che ne fa richiesta vengono concessi tre anni di congedo interamente pagati, nel corso dei quali non si può essere sollevati da proprio incarico e che permettono – addirittura – di versare i contributi pensionistici senza perdere neppure l’anzianità lavorativa; il tutto con l’unica clausola che prevede che la concessione del congedo sia subordinata alle “esigenze dell’amministrazione”.
Tutte le (numerose) criticità dei congedi straordinari per i dottorati di ricerca offerti ai dipendenti pubblici
In altre parole, nei tre anni necessari per conseguire i dottorati di ricerca i dipendenti pubblici vengono normalmente stipendiati (purché rifiutino l’eventuale borsa di studio che potrebbe spettargli) e al termine del periodo previsto possono regolarmente rientrare nella loro vecchia posizione lavorativa; e seppur da un lato sia posto il vincolo che nei due anni successivi non si può interrompere il contratto lavorativo – pena l’obbligo di restituzione degli stipendi ricevuti nei tre anni di studio -, dall’alto (venendo alla prima criticità) non vi è nessun reale malus per chi sceglie di non discutere la tesi o di non sostenere esami.
In altre parole, chi usufruisce dei congedi per i dottorati di ricerca non è – di fatto – costretto a concludere gli studi, godendosi tre anni integralmente stipendiati senza mai studiare e senza che incappi in nessuna reale pena; mentre e chi avrà regolarmente concluso gli studi e conseguito il titolo verranno riconosciuti dei punti aggiuntivi nel caso in cui partecipi ad un concorso per progredire lavorativamente, peraltro potendo anche riscuotere gli anni ai fini pensionistici (con il doppio beneficio di incassarne sei dato che al contempo continuano i versamenti pensionistici).
D’altra parte, c’è anche il non trascurabile aspetto economico a rendere ancora più dibattuta questa concessione perché a fronte di lavoratori impegnati a conseguire (o no) dottorati di ricerca, lo Stato dovrà trovare un sostituto pagando un doppio dello stipendio – con medie di circa 50mila euro annuali complessivi -; mentre il dottorando non dovrà sostenere nessun costo particolarmente alto dato che esistono corsi i cui prezzi sono particolarmente esigui, fermo restando che si possono anche scegliere le università telematiche e quelle estere.