È l’angolo più a nord-est dell’Italia, a pochi chilometri dai confini con Austria e Slovenia. Qui Benvenuta Plazzotta, imprenditrice friulana, porta avanti una impresa di ristorazione ereditata dal padre, aperta nel lontano 1957. “La maggior parte dei nostri clienti – racconta – arrivano dall’estero, soprattutto austriaci e tedeschi che vengono qui da molti anni perché innamorati del cibo italiano. Noi facciamo trovare loro specialità di tutta l’Italia, ad esempio l’olio siciliano”. Ma come tutte le attività, Dawit, così si chiama il locale che dispone di una tavola fredda, di uno shop dove si possono acquistare cibi tradizionali e anche di una enoteca con circa 300 vini e molte grappe diverse fra cui una di produzione propria, ha dovuto chiudere all’inizio di marzo. Adesso, con la fase 2, è permessa l’attività di asporto, ma “le ordinanze sono confuse e fatte apposta per metterci in difficoltà. Ad esempio, non viene specificato a che distanza si possa consumare il cibo da asporto e ci impongono di tenere registri cronologici della clientela”. E poi c’è il nodo del personale. La signora Benedetta, però, in un frangente in cui molte aziende di fronte alla crisi devono tagliare uno dei costi più facili, cioè i dipendenti, si è resa protagonista di un bel gesto: “Li ho tenuti tutti e 14, anche se non ho potuto pagare gli stipendi da marzo, ma ho deciso di mia iniziativa, anche se non potrei, di corrispondere loro in anticipo la quattordicesima di giugno. Perdere il lavoro in questa piccola valle di 4mila abitanti vuol dire finire sul lastrico e io non voglio che succeda a loro. Tanti miei colleghi però hanno già deciso che non riapriranno più”.
Ci racconti un po’ della sua azienda, che è stata aperta nel 1957 e si trova vicino al confine con Austria e Slovenia.
Siamo nell’angolo più a nord-est d’Italia, a soli 10 chilometri dai confini austriaco e sloveno. E’ un luogo di ristorazione con uno shop di prodotti alimentari e la nostra clientela è fatta in maggioranza da stranieri, soprattutto austriaci, che in mezz’ora arrivano qui. Abbiamo 14 addetti ed è stata aperta nel 1957 da mio padre. Oggi ovviamente è del tutto rinnovata.
Siete in una zona di grande passaggio turistico, è così?
Abbiamo vari target di clienti, riempiamo tutte le giornate dell’anno, soprattutto luglio-agosto, a Natale e a gennaio. Mediamente ogni anno si fermano da noi quasi 156mila austriaci.
Un luogo di incontro internazionale, dunque?
Sì, noi abbiamo saputo organizzarci come luogo di vendita di prodotti di tutta Italia, ad esempio l’olio che viene dalla Sicilia. Abbiamo una bella enoteca con circa 300 etichette e produciamo anche una nostra grappa. Austriaci e tedeschi sono abituati a insaccati che sanno di würstel e a formaggi tutti uguali all’emmenthal, per cui qui trovano una vasta abbondanza e varietà di prodotti.
Veniamo alla crisi prodotta dalla pandemia. A marzo avete dovuto sospendere l’attività. Il governo ha intenzione di pagare a bar e ristoranti le spese di affitto di marzo e aprile. Voi che siete una proprietà familiare avete diritto a qualche misura di sostegno?
In realtà, l’azienda è ospitata da una società immobiliare a cui pur essendo di famiglia paghiamo un affitto.
Ma le risulta che vi spetterebbero due mesi di affitto pagati dallo stato?
No, non mi risulta assolutamente. I miei dipendenti non hanno ricevuto ancora un euro da marzo. Adesso anticiperò loro la quattordicesima, che viene pagata a giugno: so che non potrei farlo, ma glielo devo, altrimenti non sanno più come campare.
Non avete ricevuto nessun fondo di sostegno?
Ci è stato promesso un prestito bancario di 25mila euro, ma non a fondo perduto, va restituito. Grazie a Dio, non mi trovo in condizioni così drammatiche, ma per molti miei colleghi è la morte. Erano già in crisi prima, con vari crediti bancari, se ci aggiungiamo anche questo sono soldi che uno vede sparire subito, forse riesce tutt’al più a pagare le prossime imposte, ma poi deve chiudere. Non è una misura risolutiva.
Adesso siamo nella fase 2. Avete potuto riavviare almeno l’attività da asporto?
Sì, ma abbiamo calcolato un’affluenza rispetto al normale del 30%, perché gli stranieri, con quello che leggono su ciò che accade in Italia, hanno paura di venire. Ho dovuto eliminare la metà dei posti e poi dobbiamo far fronte ai costi di sanificazione: ogni volta che un cliente si alza dal tavolo dobbiamo sanificare. Ci saranno persone a controllare come entra e si siede la gente. Non sarà un incasso sufficiente, tanto che molti hanno deciso di non riaprire più. Personalmente sono serena, a differenza di colleghi con l’acqua alla gola. Senza incassi, il mio conto bancario è sceso di 76mila euro, sono bloccata, ma ho pagato i fornitori. Fortunatamente non ho un mutuo da pagare, avevo messo da parte degli utili per ristrutturare l’azienda, ho anche iniziato i lavori, però alla fine di questa estate la mia liquidità sarà finita. Dovrò decidere quanti dipendenti tenere e 14 posti di lavoro qui sono importanti, non si trova facilmente lavoro. Tutto questo mi interroga come imprenditore: chiudo e mi godo i miei risparmi o devo aprire e cominciare una tragedia che non so come finirà?
Il licenziamento è la prima cosa a cui si fa ricorso quando una azienda è in crisi…
Ci disorientano le normative che via via si succedono, sono lasciate volutamente vaghe. Ad esempio, quella dei congiunti. Ci dicono che possiamo fare solo asporto e allo stesso tempo ospitare ai tavoli un certo numero di persone, ma l’asporto non si può consumare nelle vicinanze se prima non vengono indicati quanti sono i metri di distanza. Devo mandare via chi acquista cibo? Lasciano tutto alla discrezione delle autorità, che decidono quanto e a che distanza possono stare le persone. È tutto fatto ad arte per creare confusione. Su queste cose ci troviamo disorientanti e feriti, perché in realtà dovrebbero difendere le nostre attività.
Come vi sta aiutando Confcommercio?
In qualche modo il presidente Sangalli sta cercando di modificare le dinamiche, immettendo funzioni nuove e congenialità nuove. Ma è una associazione sindacale che negli ultimi vent’anni non ha fatto nulla per noi, sono dei funzionari che facevano da tramite con lo Stato. Adesso mi è arrivata una nota che suggerisce di tenere l’ordine cronologico dei take away.
Perché?
Ho risposto che è una regola criminale solo pensarlo e venire a dirmelo: non hanno già mediato col governo? Innanzitutto, è una violazione della privacy, e poi, se viene un controllo chiedendomi i clienti presenti nei giorni precedenti, io non ho materialmente tempo di tenere un registro.
Purtroppo la burocrazia è da sempre il male dell’Italia.
L’economia deve essere costruttiva, deve essere decisa e indirizzata dal basso, dal territorio. Poi si può discutere. Invece ci trattano come sudditi, come se non fossimo in grado di fare impresa. Non pongono il bene della persona al centro.
Un quadro molto triste. Ce la farà a resistere?
Sono ottimista. E poi accadono cose che ci danno coraggio. Un collega, per esempio, ha ricevuto una mail da un cliente austriaco che gli ha chiesto se poteva avere un voucher da 50 euro da spendere quando potrà tornare in Italia e gli ha inviato mille euro per aiutarlo a rimanere aperto. Sono gesti che commuovono e che la politica non capisce.
(Paolo Vites)