Perché star mondiali come Bob Dylan, Bruce Springsteen, Paul Simon, Mick Fleetwood, Neil Young e tanti altri hanno venduto i loro cataloghi di canzoni per diverse centinaia di milioni di dollari? Lo hanno fatto anche gli eredi di artisti deceduti, vedi il caso di David Bowie. Dylan è stato il primo, seguito a ruota da tanti colleghi. Non solo: Dylan (ma anche Springsteen) ha fatto di più, ha venduto anche i diritti sulle sue registrazioni alla Sony, il che significa che da domani potremmo aspettarci un sacco di dischi pubblicati senza la sua autorizzazione, schifezze incluse. Parte dell’accordo sono anche “i diritti su multiple nuove pubblicazioni”, ha annunciato la società. Secondo stime, l’intesa potrebbe valere oltre 500 milioni di dollari. 



Chiediamoci invece perché qualcuno li ha comprati.

Lo hanno fatto perché è un ottimo investimento. Le principali etichette discografiche stanno partecipando alla corsa alla vecchia musica: Universal Music, Sony Music, Warner Music e altre stanno acquistando cataloghi editoriali e investendo ingenti somme in vecchi brani. In passato, quei soldi sarebbero stati usati per lanciare nuovi artisti. I pochi negozi di dischi rimasti sopravvivono grazie alla vendita di dischi di dieci, venti, trenta e ancor più anni fa, non grazie al successo dell’ultima ora. Anche perché i dischi nuovi non si stampano più, vanno in streaming o si scaricano in formato liquido. Le radio satellitari inseriscono sempre meno canzoni nuove in rotazione, a favore dei vecchi successi.



In un suo brillante articolo pubblicato sul sito The Atlantic, l’editorialista Ted Gioia racconta la situazione in America, che ben presto sarà anche la nostra, se non lo è già: “Le vecchie canzoni rappresentano oggi il 70 percento del mercato musicale statunitense, secondo gli ultimi numeri di MRC Data, un’azienda di analisi musicali. Coloro che si guadagnano da vivere con la nuova musica, in particolare quella specie in via di estinzione nota come il musicista che lavora, dovrebbero guardare questi dati con paura e tremore. Ma le notizie per loro peggiorano: il mercato della nuova musica si sta effettivamente riducendo. Tutta la crescita del mercato viene da vecchie canzoni”.



Quelle pseudo classifiche di streaming, download, eccetera non significano assolutamente nulla dal punto di vista del guadagno, ma anche dei numeri. Oltre a essere taroccate, che cosa significa che un brano dei Maneskin è stato ascoltato 20 milioni di volte? Se io dovessi calcolare tutte le volte che ho ascoltato Like a rolling stone di Bob Dylan negli ultimi 45 anni, probabilmente avrei ottenuto ancor più ascolti . Comunque il punto è che non importa se hai venti milioni di visualizzazioni su YouTube o 40 milioni di ascolti su Spotify: non sta guadagnando praticamente nulla.

Aggiunge Gioia: “I 200 nuovi brani più popolari  rappresentano regolarmente meno del 5% degli stream totali. Quel tasso era due volte più alto solo tre anni fa. Il mix di brani effettivamente acquistati dai consumatori è ancora più orientato verso la musica vecchia. L’attuale elenco dei brani più scaricati su iTunes è pieno di nomi di band del secolo precedente, come Creedence Clearwater Revival e Police”.

Sono canzoni usa e getta, quelle che si producono oggi, buone per una stagione o poco più. Nessuno si ricorderà dei Maneskin, di Jovanotti o di Achille Lauro, visto che già oggi non li ascoltano. Ma Be my baby delle Ronettes sì. E verrà usata ancora e ancora nelle colonne sonore dei film per secoli a venire. “Mai prima d’ora nella storia i nuovi brani hanno raggiunto lo status di hit generando così poco impatto culturale. Il pubblico sembra invece abbracciare i successi dei decenni passati. Il successo è sempre stato di breve durata nel mondo della musica, ma ora anche le nuove canzoni che diventano successi possono passare inosservate a gran parte della popolazione (…) Ogni settimana sento centinaia di pubblicisti, etichette discografiche, manager di band e altri professionisti che vogliono pubblicizzare le novità più recenti. Il loro sostentamento dipende da questo. L’intero modello di business dell’industria musicale è costruito sulla promozione di nuove canzoni. Come scrittore di musica, dovrei fare lo stesso, così come le stazioni radio, i rivenditori, i DJ, i proprietari di locali notturni, gli editori, i curatori di playlist e chiunque altro abbia un interesse nel gioco. Eppure tutte le prove indicano che pochi sono gli ascoltatori che vi prestano attenzione”.

Significativo l’esempio dei Grammy, il più importante evento dell’industria discografica: non lo segue più quasi nessuno. Nel 2021 il pubblico televisivo che ha seguito la cerimonia è crollato del 53% rispetto all’anno precedente, da 18,7 milioni di telespettatori a 8,8. Solo dieci anni fa, 40 milioni di persone avevano seguito la cerimonia televisiva dei Grammy.

Quindi? Secondo Ted Gioia non è vero che non ci siano ancora bravi autori di canzoni nelle ultime generazioni, ma che i discografici e gli amministratori delegati non sono capaci di scoprirli: “I trovatori dell’XI secolo, Saffo, i cantanti lirici dell’antica Grecia e gli artisti artisti del Medio Regno nell’antico Egitto trasformarono le proprie culture (così come hanno fatto Beatles e Rolling Stones, ndr). Le rivoluzioni musicali vengono dal basso e vanno verso l’alto, non dall’alto verso il basso. Gli amministratori delegati sono gli ultimi a saperlo. Questo è ciò che mi dà conforto. La nuova musica nasce sempre nel posto meno atteso e quando i mediatori del potere non prestano nemmeno attenzione. Accadrà di nuovo. Ne ha certamente bisogno. Coloro che controllano le nostre istituzioni musicali hanno perso il filo. Siamo fortunati che la musica sia troppo potente per essere uccisa”. E’ davvero così?