Il Presidente francese Emmanuel Macron ha sfruttato con abilità la COP28 per uscire da una fase di penombra sulla ribalta geopolitica: riflesso di una situazione interna ancora molto complicata fra ritorno del terrorismo islamico, tensioni socioeconomiche e bocciatura Ue della manovra finanziaria. A Dubai – disertato dai grandi leader globali – Macron si è invece ripreso la scena per lanciare segnali particolarmente forti.



La prospettiva di una ripartenza decisa del nucleare – ancorché “pulito” – come strategica fonte d’energia ha scosso un summit globale finora forum-megafono della transizione verde estrema: benché già avvolto da un nuovo “spirito del tempo” nella localizzazione presso gli Emirati del Golfo, sopra giacimenti di petrolio ancora immensi. Il leader francese – che ha subito incassato un pesante appoggio diplomatico da parte degli Usa di Joe Biden – ha parlato a molti, forse a tutti i suoi interlocutori-target.



Il primo è senz’altro il popolo-elettorato francese: composto anzitutto dai “gilet gialli” che da anni contestano duramente nelle piazze la costosa svolta verde integrale abbracciata da Macron nel suo primo mandato all’Eliseo. D’ora in poi la Francia sembra invece voler investire sul nucleare per ricostruire l’autonomia e la competitività energetica del Paese. E potrà farlo perché è l’unico Paese Ue ad aver sempre mantenuto un sistema produttivo nucleare, cioè un patrimonio di know-how scientifico-tecnologico sotto la guida di una tecnocrazia pubblica e privata (anch’essa gratificata dalla “conversione” del Presidente).



Il secondo destinatario della nuova “dottrina Macron” è l’Europa, ancora una volta su una dimensione multipla. Nel mirino c’è la Ue istituzionale che tuttora frena il nuclearismo francese (e lo attacca lateralmente sul fronte dei conti pubblici), principalmente su spinta della Germania. A Berlino l’establishment non può e non vuole vedere risorgere la Francia come leader Ue sul terreno massimamente critico delle politiche energetiche, dopo la disfatta storica sul fronte del gas russo, più che simboleggiata dalla distruzione militare dei gasdotti Nord Stream. Per di più la pericolante coalizione di centrosinistra del cancelliere Olaf Scholz è imperniata sui Verdi: che già hanno mal sopportato i sussidi d’emergenza alle energie fossili per puntellare famiglie e imprese tedesche.

Ma il discorso di Macron a Dubai è stato, non da ultimo, anche un comizio di altissimo livello nella campagna elettorale ormai iniziata in vista del voto europeo di giugno. Di fronte a uno schieramento socialdemocratico in netta difficoltà – anzitutto su temi come la nuova Guerra fredda, il confronto con la Cina e la transizione verde -, Macron ha rilanciato il ruolo dei liberali di Renew Europe: che rimangono una delle tre grandi forze legittimiste nel Parlamento europeo. E laddove il Ppe (a guida tedesca) sembra orientato a giocare principalmente carte “politiciste” – prima fra tutte una futura alleanza con Ecr, il partito della destre non antagoniste – il più importante leader liberale europeo ha invece deciso di agitare i tavoli con dossier di contenuto.

Certamente preoccupato dal segnale elettorale giunto dall’Olanda (dove i veri sconfitti di sono stati i liberali dell’ex Premier Mark Rutte), Macron ha voluto lanciare un appello vigoroso a una vera e propria ricostruzione dell’Ue, peraltro già in agenda prima della pandemia fra Parigi e Angela Merkel; a una ridiscussione della “casa Ue” che guardi di fatto a un Terzo Patto, non a una semplice manutenzione dei parametri di Maastricht. Una posizione eloquente quando fra 27 giorni nell’Ue rientrerebbero teoricamente in vigore i vecchi parametri economico-finanziari, se il Consiglio Ue non approverà nel frattempo un nuovo dispositivo. Ancora una volta la Francia “neo-europea” (appoggiata dagli Usa) sembra confrontarsi direttamente con la Germania, che ha cercato negli ultimi giorni un’affannosa sponda nell’Italia (essa pure sotto pressione sui conti, ma essa pure sostenuta da Oltre Atlantico).

Poche ore prima che Macron aprisse la sua doppia partita (come Presidente francese e come leader liberale in Europa), Mario Draghi era tornato dopo molti mesi a parlare in pubblico: di fatto ripetendo il suo celebre “whatever it takes” con lo stesso mix di ansia e di determinazione europeista di Macron. Per l’ex Presidente della Bce ed ex Premier italiano la costruzione politico-istituzionale oggi dislocata fra Bruxelles e Strasburgo non è più adeguata a contenere gli europei, la loro moneta unica, le loro imprese e le loro reti sociali; e non riesce più a proteggerli dalle escalation geopolitiche. Ed è una comune sensibilità liberal/tecnocratica “2.0” che sembra accomunare il Draghi che ha tutelato l’euro e Macron che oggi rilancia il nucleare. La riprova della forza della loro ‘”idea di Europa”, in un’Ue che nei fatti ha visto appannarsi tutte quelle che l’avevano edificata nel ventesimo secolo, arriverà presto. E se il Presidente francese sembra in netta “controffensiva”, Draghi continua a non far nulla per fermare le voci che lo vorrebbero candidato credibile alla futura presidenza del Consiglio Ue.

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