Lo smarrimento dell’identità cattolica, a cui stiamo assistendo da decenni “forse” ha raggiunto il suo punto di non ritorno ed è iniziata la fase della reazione, della denuncia coraggiosa, della volontà di riappropriarsi della propria storia, dei suoi valori e dei suoi simboli.
Le polemiche che continuano ad accompagnare il dibattito sulle Olimpiadi di Parigi mostrano al di là di ogni ragionevole dubbio due fatti essenziali. In primo luogo, la diffusa consapevolezza che lo spettacolo offerto in apertura dei giochi avesse un chiaro ed evidente messaggio provocatorio, con una regia precisa, studiata nei minimi dettagli. Un piano d’attacco esplicitamente rivolto al mondo cattolico, ai suoi valori, alle sue tradizioni, ai suoi simboli. Ben pochi però, pur conoscendo le posizioni di una certa élite francese, a cominciare dal suo stesso Presidente, si aspettava un’aggressione così violenta alle radici cristiane dell’Europa. C’era una sorta di maquillage fatto attraverso il dispiego massiccio di tecnologie avanzate, di colori sgargianti, di balli e musiche che formavano coreografie a tratti seduttive, ma più spesso repulsive e indignanti. In secondo luogo, però, bisogna sottolineare la reazione di immediata condanna del mondo cattolico, forse ancora meno attesa e per questo più incisiva e sorprendente. A tutto campo, in tutti i Paesi, soprattutto europei, ma non solo europei. Un sussulto di orgoglio cristiano compatto, che ha respinto questo ennesimo tentativo di farsi beffe delle sue radici cristiane, denunciandone immediatamente non solo l’arroganza e l’assoluta mancanza di rispetto, ma anche la radicale mancanza di coerenza con l’evento che si stava celebrando.
Forse non ci si aspettava che la provocazione fosse immediatamente percepita nella sua volgarità e respinta proprio da quel mondo cattolico che troppo spesso appare fin troppo accomodante e fragile nelle sue convinzioni. Un mondo complesso e variegato, che stenta a trovare la sua unità su quasi tutto, capace di dividersi nelle mille forme che conosciamo, ma che ha saputo riconoscere come questa volta l’attacco andava alla radice stessa della sua Fede, a quel Mistero dell’Eucarestia che è la più esplicita forma di presenza di Dio in mezzo a noi.
Evidentemente lo spettacolo non aveva nulla di casuale e proprio per questo dopo l’indignazione iniziale tutti ci chiediamo perché la Francia, il suo Comitato organizzatore, abbia scelto questa scenografia con cui sembra aver voluto celebrare una sorta di morte dell’identità cristiana, in Francia, in Europa e nel mondo intero. Ci si chiede perché chi avrebbe dovuto controllare, vigilare, contenere questa spinta dissacrante, non lo abbia fatto, in flagrante contraddizione con lo spirito dei Giochi, fortemente voluti da Pierre De Coubertin, pedagogista prima ancora che sortivo. Lo sport è passato decisamente in secondo piano, mentre emergeva quella che appare come la triade concettuale della post-modernità: una pseudo inclusione, che in un tardivo tentativo di riparazione, crea nuove forme di emarginazione. Una sorta di islamofilia contrapposta a una vera e propria cristianofobia.
Al centro della scena, con canti, balli e sfilate, la cultura della fluidità di genere, con la sua continua declinazione dell’amore libero, dove tutto è possibile purché sia amore. E sul piano politico quella confusa rappresentazione della democrazia, che in realtà si nutre dei simboli della rivoluzione, per esprimere plasticamente che una nuova dittatura culturale va guadagnando sempre più spazio: quella del pensiero unico. È apparsa, più evidente che mai, una profezia di papa Francesco, che nel 2019, parlando alla Curia romana, in uno dei suoi discorsi più citati, aveva detto: “Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza…”. Queste Olimpiadi, così goffamente introdotte, hanno confermato che anche nei giochi, nella loro cultura e nella loro realizzazione è intervenuto un vero e proprio cambiamento d’epoca. Sono i giochi del terzo millennio, che hanno ben poco a che vedere con quelli precedenti. Sono i giochi della post-modernità.
Ma la domanda che risuona nel cuore e nella mente di tutti coloro che un’altra epoca l’hanno vissuta è pur sempre la stessa: come è potuto accadere questo cambio d’epoca in un modo così eclatante, senza che ce ne accorgessimo. Papa Francesco nel medesimo incontro con la Curia romana, diceva: “Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati. Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale, che non vuol dire passare a una pastorale relativistica. Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata”.
E allora il pensiero torna al dibattito di 20 anni fa sulla Costituzione europea e sulle sue radici cristiane, così tristemente negate, in modo antistorico e contraddittorio. A quella Costituzione che la Francia bocciò nel suo referendum. C’è un aneddoto che illustra bene le profonde contraddizioni della Francia su questo punto. In occasione della visita di Giovanni Paolo II a Parigi nel 1980, Chirac, allora Sindaco di Parigi, mentre si trovavano nella chiesa di Notre Dame, disse al Papa: “In questi luoghi la Francia sente il suo cuore più forte”. Dopo una quindicina d’anni, sempre Chirac, allora presidente della Repubblica, disse a Giovanni Paolo II: “A Parigi, Lisieux, Lourdes, Lione, Strasburgo e Alsazia, Santo Padre lei incontrerà la Francia cristiana. Circondato dai vescovi di Francia, celebrerà a Reims l’anniversario del battesimo di Clodoveo. La Francia repubblicana e laica è orgogliosa delle proprie radici”. Il Papa ricorderà molto bene quelle stesse parole quando, otto anni dopo, Chirac pose il veto all’introduzione delle radici cristiane nella Costituzione europea. Una Francia incapace allora di mantenere le sue promesse, i suoi impegni, e il senso della sua stessa storia.
In Memoria e identità, uno dei testi in cui Giovanni Paolo II riflette sul futuro dell’Europa e della cristianità, spiega la sua visione sulla natura delle radici cristiane, come il richiamo a un orizzonte valoriale in grado di riportare l’Europa al progresso materiale e morale dopo il Novecento, che l’aveva devastata con le sue guerre e i suoi lutti. Giovanni Paolo II offre una riflessione profonda sul senso di dirsi cristiani in Europa, sulla necessità di una direzione morale di marcia e sulla natura più profonda di cosa voglia dire l’adesione alla Chiesa anche nei tempi segnati dal declino delle ideologie e dall’individualizzazione di massa. “Non si tagliano le radici dalle quali si è nati”. Al momento del voto sulla Costituzione europea Margot Wallstrom, in rappresentanza della Commissione, fece notare come in quell’occasione, per la prima volta, l’Unione avrebbe aderito alla Convenzione europea dei Diritti dell’uomo, «in tre semplici concetti: maggiori diritti, maggiore democrazia e maggiore apertura», senza nascondere che si trattava di un compromesso e che il testo non era perfetto. Quanto è accaduto venerdì scorso mostra come in realtà molti diritti siano stati calpestati, come non si possa certamente parlare di maggiore democrazia e sostanzialmente ci sia stata una chiusura inspiegabile verso il mondo cattolico.
Ovviamente il Trattato europeo, che aveva negato le radici cristiane dell’Europa, finì col negare anche se stesso e naufragare proprio per l’opposizione della Francia. Era un compromesso, ma neppure quel compromesso fu possibile. Lo spettacolo di pochi giorni fa è l’eterna capriola di chi negando da dove viene, non sa più neppure dove andare. Scivola nel trash in quanto a stile e non capisce cosa significhi sviluppo integrale della persona, grazie anche allo sport, necessario ma non sufficiente, se viene meno il suo ancoraggio morale e antropologico. La speranza viene dalla reazione del mondo cattolico, dalla sua capacità di riconoscere l’aggressione ai suoi valori e alla sua tradizione, dall’impossibilità di poter accettare l’offesa a Dio nella sua presenza eucaristica. Resta ora da capire e da vedere se l’indignazione si saprà trasformare in ricostruzione, in una resilienza be più determinata e in una riscoperta del senso e del valore della vocazione umana e cristiana di cui ognuno di noi è testimone responsabile.
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