Martedì notte Fitch ha abbassato il rating sul debito americano a doppia A da tripla A. Era dal 2011 che una delle principali agenzie di rating non peggiorava il rating di Washington; allora la decisione era arrivata dopo una fase di tensione politica nel congresso per l’innalzamento del tetto del debito. Secondo l’agenzia, “i ripetuti stalli politici sul tetto del debito e le soluzioni dell’ultimo minuto hanno eroso la fiducia nella gestione fiscale”. Il segretario al Tesoro, Janet Yellen, che nel 2011 era vicepresidente della Fed, ha pubblicato una breve nota e dichiarato che il cambiamento “è arbitrario e basato su dati sorpassati”. Per Fitch, invece, “l’atteso deterioramento fiscale per i prossimi tre anni e un alto e crescente peso del debito pubblico” non giustificano più la tripla A.



I principali indici azionari americani ieri sono scesi, ma i mercati non sembrano scontare una “crisi del debito americano” nel breve periodo e nemmeno un cambio di paradigma su quello che rimane l’investimento senza rischio per eccellenza. Il dollaro si è rafforzato nei confronti dell’euro nelle ultime 48 ore. La decisione di martedì è però un campanello d’allarme rispetto a una traiettoria che riguarda il debito pubblico americano e quello di molti altri Paesi sviluppati. Escludere conseguenze nel breve periodo non significa che non ci siano problemi.



La questione dei debiti pubblici rimane al centro della riflessione di investitori che si interrogano, senza avere risposte univoche, sulle vie d’uscita da uno scenario complicato. Gli Stati Uniti nel 2007, prima del fallimento di Lehman, avevano un debito su Pil inferiore al 70%; oggi è vicino al 130% e le dinamiche demografiche sono molto peggiori perché i lavoratori che arrivano alla pensione sono molto di più di quelli che entrano sul mercato del lavoro. C’è un debito pubblico esplicito, misurabile in percentuale del Pil, e ce n’è un altro sotto la superficie rappresentato dalla somma delle pensioni future. Gli Stati Uniti viaggiano da tre anni a ritmi di deficit su Pil fuori scala rispetto alle medie precedenti l’entrata in scena del Covid. È una delle ragioni, tra l’altro, di questa misteriosa durata del ciclo economico, che sembra sfidare le leggi di gravità, nonostante undici rialzi dei tassi consecutivi della Fed. Oltre ai debiti pubblici ci sono quelli privati perché due decenni di tassi bassi hanno reso poco rischiosa la leva finanziaria.



Il debito pubblico americano sale, i deficit rimangono elevati e le dinamiche demografiche peggiorano. Questo scenario apre un’impossibile alternativa. La prima alternativa è alzare i tassi, riportare i bilanci pubblici sulla via della sostenibilità e mettere in conto un aggiustamento che avrebbe conseguenze sia sui mercati finanziari che sull’economia reale. La crisi delle banche regionali americane che per qualche settimana ha fatto tremare i mercati globali è, in estrema sintesi, un episodio di instabilità finanziaria generato dai tassi alti su bilanci che non sono preparati a questa “novità”. La Fed è immediatamente corsa ai ripari con una nuova ondata di immissione di liquidità che ha “risolto” il problema. La seconda alternativa “cura” i rischi per la stabilità finanziaria contenendo il rialzo dei tassi e permettendo ai Governi di evitare l’aggiustamento dei conti pubblici. Questa scelta produce inflazione tanto più alta quanto più si posticipa l’aggiustamento dei tassi e dei conti. È un’alternativa meno dolorosa solo all’apparenza perché l’inflazione, lo abbiamo imparato in questi mesi guardando l’evoluzione dei prezzi degli alimentari, può essere la più ingiusta delle tasse; si mangia i risparmi della classe media e, nei fatti, li trasferisce agli Stati magari con il condimento dell'”equità” e della “redistribuzione” di cui la burocrazia è felice di farsi carico. È un’alternativa problematica da molti punti di vista: sociali e di incentivo al lavoro e al risparmio tra gli altri.

Si potrebbe forse immaginare una ristrutturazione del debito che però ha effetti sistemici e che coinvolgerebbe anche chi negli ultimi decenni ha guadagnato dalle politiche monetarie fatte, in teoria, per aiutare i poveri.

Il downgrade di Fitch getta una luce sulle questioni aperte che sono al cuore delle decisioni economiche e politiche dei prossimi anni.

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