Guardando il film di Michael Engler, la sensazione è che Downton Abbey sia un prodotto che si trova perfettamente a suo agio sul grande schermo. Per i fan della serie creata da Julian Fellowes (autore anche della sceneggiatura del lungometraggio) è come un ritorno a casa, accompagnati dalla suggestiva colonna sonora di John Lunn e dall’atmosfera calda, d’altri tempi, che si respira nella splendida dimora dei Grantham.



La trama si concentra attorno a un singolo episodio, la visita del re e della regina d’Inghilterra a Downton Abbey durante un viaggio nello Yorkshire nel 1927, annunciato da una lettera consegnata a Robert Crawley (Hugh Bonneville). L’organizzazione della cena e della parata militare mette in subbuglio la famiglia e, soprattutto, Lady Mary (Michelle Dockery), che ha legato il proprio destino alla casa da lei tanto amata. L’evento funziona da collante per le storie individuali dei personaggi, gli stessi della serie: Lady Edith (Laura Carmichael), ora felicemente sposata, la fenomenale Lady Violet (Maggie Smith) con le sue battute sempre taglienti, la saggia Isobel Crawley (Penelope Wilton) e, naturalmente, i domestici. Anna, Thomas, Mrs Huges, Mr Carson, Mrs Patmore, Daisy e gli altri sono oberati di lavoro quando arrivano i reali, ma non ci stanno a farsi dare ordini dal personale di corte e architettano un piano per riprendere in mano le redini e tornare protagonisti.



Il formato rispecchia quello degli speciali natalizi della serie, dove un evento importante per la famiglia diventata il fulcro dell’episodio e permetteva di tirare le fila della stagione. Se la coppia reale resta (comprensibilmente) sullo sfondo, vengono però introdotti nuovi personaggi che movimentano la vita a Downton Abbey, come Lady Bagshaw – destinata a battibeccare con la cugina Violet – e Lucy, il nuovo amore di Tom Branson.

L’obiettivo (centrato) è quello di mantenersi coerenti con il passato e offrire una degna conclusione alla storia che ha appassionato il pubblico. Stavolta si è scelto di puntare più sull’ironia che sul dramma, anche per consentire a chi non conosce la serie di apprezzare il film senza perdersi in complicate linee narrative. Fellowes riconferma di essere un acuto osservatore della società britannica, di cui mette in mostra qualità e difetti, giocando con i dettagli visivi per sottolineare i cambiamenti sociali e culturali. La casa, vera protagonista dell’intera storia, sopravvive a tutto, perché rappresenta la certezza, la comunità di cui ogni essere umano ha bisogno, la presenza di un passato e di una tradizione che nemmeno le rivoluzioni economiche e culturali possono spazzare via del tutto. E in un periodo in cui i punti di riferimento stanno crollando e la gente si ritrova spaesata, fa piacere rifugiarsi in un mondo rassicurante, dove i domestici lavorano con dedizione perché i padroni sono generosi e gentili, dove ciascuno è consapevole del ruolo che riveste e accetta la propria responsabilità.



Regista e sceneggiatore fanno in modo di lasciare a ogni personaggio il giusto spazio, cogliendo l’occasione per mettere in luce alcuni aspetti che erano rimasti in sospeso nella serie (la nuova vita matrimoniale di Edith, per esempio, i sogni di Daisy, il futuro di Tom e il complicato rapporto di Barrow con se stesso e gli altri). Chi conosce il passato, apprezzerà la chiusura di tutte le storie, con il passaggio finale del testimone da Violet a Mary, vera custode della dimora. Chi invece si avvicina per la prima volta, potrà godersi due piacevoli ore in compagnia di personaggi intelligenti, arguti e, soprattutto, profondamente umani. In ogni caso, quando, all’inizio del film, percorriamo il viale che porta a Downton Abbey e scorgiamo l’elegante edificio illuminato dalla luce dell’alba, ci sentiamo accolti, come se fossimo noi gli ospiti e ci stessero accompagnando su una comoda poltrona, davanti a un camino acceso e a una tazza di tè.