I Dpcm del premier Giuseppe Conte sono «illegittimi e incostituzionali». Stavolta, però, a definirli così non è l’opposizione, ma un tribunale. È quello di Roma, chiamato a esprimersi in merito ad un contenzioso in cui è coinvolto un esercizio commerciale da sfrattare per morosità a causa del mancato pagamento dell’affitto per la chiusura imposta dal Governo nell’ambito dell’emergenza Covid. Secondo la sesta sezione civile, i Dpcm sono «viziati da violazioni per difetto di motivazione» e da «molteplici profili di illegittimità». Di conseguenza, vengono considerati caducabili, cioè non producono effetti reali e concreti dal punto di vista giurisprudenziale. Una bocciatura dura e clamorosa quella nell’ordinanza pubblicata il 16 dicembre dal Tribunale di Roma, secondo cui i decreti del governo non hanno natura normativa, ma amministrativa.



E vengono citati i presidenti emeriti della Corte costituzionale, come Baldassarre, Marini e Cassese. Così come il giudice Alessio Liberati chiarisce che non c’è alcuna legge ordinaria «che attribuisce il potere al Consiglio dei ministri di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario». Nel mirino finisce “incidentalmente” quindi anche il Consiglio dei ministri, che non ha il potere di adottare una delibera per dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario. Ciò avrebbe quindi conseguenze anche sugli atti amministrativi conseguenti.



TRIBUNALE VS CONTE “DPCM ILLEGITTIMI E INCOSTITUZIONALI”

Il Tribunale di Roma attacca, dunque, indirettamente il governo perché sarebbe stato necessario «un ulteriore passaggio in Parlamento diverso» rispetto a quello che si è avuto per la conversione dei decreti “Io resto a casa” e “Cura Italia”. I provvedimenti contrastano «con gli articoli he vanno dal 13 al 22 della Costituzione e con la disciplina dell’art 77 Cost., come rilevato da autorevole dottrina costituzionale». Essendo atti amministrativi, i Dpcm per essere validi devono essere motivati ai sensi dell’art. 3 della legge 241/1990. Ma le analisi del Comitato tecnico scientifico sono state riservate per diverso tempo e rese pubbliche solo a ridosso delle scadenze degli stessi Dpcm, un «ritardo tale da non consentire l’attivazione di una tutela giurisdizionale». Ma non è finita qui: il primo decreto legge che ha «legittimato» il Dpcm non fissava neppure un termine né tipizzava i poteri: cìera un elenco a titolo d’esempio e consentiva così l’adozione di atti innominati, oltre a non stabilire le modalità di esercizio dei poteri. Quindi, tornando nella fattispecie per la quale il Tribunale di Roma si è espresso, come riportato da ItaliaOggi, viene rimproverato al conduttore di non aver impugnato i Dpcm. Questa inerzia comporta l’infondatezza dell’opposizione del conduttore che di conseguenza dovrà rilasciare l’immobile.

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