Con gli ultimi atti (decreto legge 158/2020 e Dpcm 3/12/2020) cambia nuovamente la strategia del Governo sul coronavirus. Alle misure restrittive differenziate per Regioni e adottate previo riscontro di parametri oggettivi, si aggiungono ulteriori misure restrittive, stavolta uniformi per tutta l’Italia e adottate in via precauzionale. Si ritiene che nell’imminente periodo delle festività siano più probabili comportamenti pericolosi per la salute pubblica. Pertanto, per evitare la crescita del contagio che ne conseguirebbe, è opportuno ridurre le possibilità di spostamenti e di assembramenti.



Tuttavia, se spetta agli epidemiologi proporre il ricorso precauzionale alla limitazione quantitativa degli spostamenti e degli assembramenti, il compito del legislatore è ben altro: perseguire obiettivi di interesse generale mediante norme rispettose della Costituzione e socialmente accettabili. Anche perché si corrono evidenti rischi, sia di tenuta sociale che di concreta efficacia. Infatti, se le norme sono avvertite come palesemente sbagliate, nessun appello o timore di sanzione può essere sufficiente a frenare i comportamenti temuti. E così l’effetto ottenuto sarà l’opposto di quello auspicato. Le norme recentemente approvate non appaiono immuni da questi difetti.



Impedire “ogni spostamento” tra Comuni in tre giorni festivi di rilevante significato per la collettività (25 e 26 dicembre e 1° gennaio) appare discriminatorio. Gli abitanti dei pochi Comuni di grandi e grandissime dimensioni potranno spostarsi per decine o centinaia di chilometri, mentre i residenti nei tantissimi Comuni di piccole e medie dimensioni potranno spostarsi in misura molto più ridotta. Quale motivazione di carattere precauzionale giustifica questo differente trattamento restrittivo?

Stabilire norme eccezionalmente limitative per gli spostamenti tra Regioni dal 21 dicembre al 6 gennaio è altrettanto discutibile. Perché, ad esempio, impedire gli spostamenti tra le Regioni a prescindere da un qualunque accertamento delle condizioni sanitarie delle persone? Perché, provvisti dell’esito negativo del tampone, non si potrebbe passare da una Regione all’altra?



Autorizzare, inoltre, l’adozione di ulteriori misure restrittive con altri Dpcm “anche indipendentemente dalla classificazione dei livelli di rischio e di scenario”, non è coerente con le finalità sanitarie che reggono l’intera impalcatura del nuovo sistema restrittivo. Su quali altri basi potrebbero mai giustificarsi misure aggiuntive, se non il mutare e l’aggravarsi delle condizioni epidemiologiche?

Nelle congerie delle disposizioni poste con il Dpcm, poi, appare dubbia la proporzionalità dei provvedimenti rispetto alla presunta pericolosità sanitaria delle attività vietate o, al contrario, consentite. Perché, ad esempio, tra i tanti comportamenti potenzialmente pericolosi, dalle 18 alle 21 sarà libero lo shopping ma sarà proibito prendere un caffè al bar?

Gli effetti, poi, sul rapporto tra Stato e Regioni sono altrettanto dirompenti. Mutare la politica di contenimento dell’epidemia dopo un lungo e travagliato percorso, significa rifiutare la strada delle scelte condivisa tra le istituzioni tutte, come auspicato anche dal Capo dello Stato. Significa riaccendere scontri che sembravano sopiti, e aprire faglie all’interno della collettività da cui esce sconfitto il Paese tutto, dimostratosi incapace, una volta di più, di darsi un assetto decisionale stabile innanzi a sfide cruciali per la cittadinanza.

Sui principali difetti delle ultime disposizioni è senz’altro attivabile il ricorso alle autorità giudiziarie, così come non va escluso il giudizio della Corte costituzionale. In ogni caso, l’intervento giudiziario può ridurre l’irragionevolezza delle misure adottate, ma non incide su una questione di fondo ancora irrisolta nella gestione di questo “stato di emergenza continua” sempre più anomalo: scegliere una strategia, condividerla con gli enti territoriali, e indicarla chiaramente ai cittadini spiegandone le motivazioni. Per la nostra comune salvezza, occorre rinunciare a soluzioni estemporanee che accentuano sfiducia e pessimismo, così come i conflitti tra le istituzioni. Perseguire questi essenziali obiettivi è una responsabilità di cui, prima o poi, si risponderà innanzi al popolo tutto.