“Non si può parlare di sci con centinaia di morti al giorno”. Lo aveva detto qualche giorno fa il professor Andrea Crisanti, e lo ribadisce adesso anche Graziano Debellini, presidente del gruppo TH Resorts, azienda leader nel turismo montano con una quota di mercato pari al 23% circa: “Quando ci sono 700-800 morti al giorno c’è un richiamo oggettivo ad un’emergenza: occorre rispetto. E quindi saremo obbedienti nell’accettare i sacrifici per le nostre strutture ricettive”. Sacrifici presto detti: TH non aprirà gli alberghi in montagna, dieci strutture dislocate tra Valle D’Aosta e Trentino Alto Adige, in ossequio alle restrizioni imposte dal nuovo Dpcm, che impone tra l’altro anche “l’impraticabilità dei campi”, quelli da sci, ovviamente.



Una decisione sofferta, per un gruppo che nelle festività di Natale registra il 30-40% del fatturato e talvolta della marginalità dell’intera stagione invernale. Un Natale con le piste chiuse fino a metà gennaio (ma lo stop potrebbe proseguire anche oltre) è un colpo durissimo. Negli anni passati in questo periodo dell’anno gran parte della domanda, sia interna che internazionale, aveva già programmato una vacanza in montagna. Quest’anno invece vince l’incertezza, senza regole comuni europee (in Svizzera o Slovenia si scia, in Austria lo possono fare solo i residenti, gli italiani che andranno all’estero dovranno poi rispettare la quarantena al rientro in patria), senza date sicure su cui programmare promozioni e vendite, senza nemmeno poter contare sulla possibilità di spostarsi da una regione all’altra. 



“Non saremmo mai voluti arrivare a decidere la chiusura e abbiamo atteso fino all’ultimo, sperando che la situazione evolvesse in un altro modo – continua Debellini -, ma anche quest’ultimo Dpcm non lascia spazio ad interpretazioni: ci si deve fermare. È un colpo al cuore enorme, che richiede un intervento importante dello Stato, per aiutare le strutture a sopravvivere”. I famosi ristori, insomma, ma non solo. “Non bastano quelli per permettere alle imprese turistiche di resistere ai mancati incassi. Serve un intervento regolatore da parte dello Stato che sospenda gli accordi tra le proprietà immobiliari e le imprese di gestione. La pandemia non è più una contingenza di qualche settimana o di qualche mese: è un contagio che rischia di arrivare a farci soffrire per oltre un anno e mezzo, con danni sociali ed economici che ricadranno poi per chissà quanto tempo ancora. Non bastano i cerotti, servono interventi complessivi. Occorre sospendere gli accordi e regolarli in modo nuovo: un proprietario di un immobile non può continuare a pretendere quanto stabilito dal contratto se quelle camere adesso non possono essere più occupate”. Ma Debellini parla anche dei rientri di prestiti e finanziamenti concessi alle imprese a partire dalla scorsa primavera, come quelli di 18 mesi meno un giorno e poi quelli della Sace. “Anche questi devono essere rivisti alla luce di questa pandemia, immaginando almeno un prolungamento dei ritorni. Sono interventi che potrebbero fare la differenza, permettendo ad un’impresa turistica di andare avanti, di sostenersi”.



“I risultati che abbiamo registrato la scorsa estate, seppur distanti anni luce da ciò che avveniva in passato, hanno solo in parte restituito una boccata di ossigeno all’azienda che adesso si trova a dover affrontare anche una stagione inevitabilmente compromessa, un duro colpo per i tantissimi lavoratori anche stagionali. Abbiamo sempre garantito sicurezza e tranquillità ai nostri ospiti, cosa che oggi, con le strutture ospedaliere al collasso, non ci sentiamo in grado di garantire. Speriamo con l’arrivo del 2021 di poter rivedere la nostra decisione, nel frattempo continueremo a investire risorse importanti per adeguarci agli standard richiesti e a tutte le misure di prevenzione, in modo da trovarci pronti e operativi nel momento in cui si potrà ripartire”.