20.709 i nuovi casi di Covid nelle ultime 24 ore, 684 i morti del 2 dicembre. Ieri il Consiglio dei ministri ha approvato il nuovo decreto legge che costituirà la cornice legislativa dei prossimi provvedimenti restrittivi destinati al periodo natalizio, a cominciare dal Dpcm che entrerà in vigore da domani. Secondo quanto riportato dall’Ansa, il primo articolo del nuovo decreto legge prevede che il Dpcm possa estende le misure non più per 30 ma per 50 giorni. Sarà inoltre possibile adottare misure restrittive per tutto il territorio nazionale indipendentemente dalle fasce di rischio caratterizzate dai diversi colori.



Divieto di spostamento fra le regioni (con alcune eccezioni, come il ritorno all’indirizzo di residenza), isolamento per chi torna dall’estero a partire dal 21 dicembre, divieto di spostamento anche fra comuni il 25–26 dicembre e il primo dell’anno: queste alcune delle misure annunciate.

Il Sussidiario ha raccolto il commento di Stelio Mangiameli, professore ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Teramo, secondo il quale la decretazione del governo continua a presentare tratti inequivocabilmente incostituzionali.



In quale quadro complessivo si inquadrano i Dpcm emanati dal governo, anche in relazione alla dichiarazione dello stato d’emergenza?

I Dpcm sono uno strumento che esula dal sistema del codice della Protezione civile (DLgs 1/2018), mentre la dichiarazione dello stato d’emergenza è prevista da questo e consente la possibilità di adozione delle ordinanze di Protezione civile che hanno un carattere temporaneo. Queste ordinanze possono essere adottate senza controlli ed entro confini molto ampi, in quanto devono rispettare solo i principi generali dell’ordinamento giuridico e la normativa europea. Diciamo, poi, che l’affidamento ai Dpcm di funzioni che sono proprie delle leggi ordinarie, o tutt’al più degli atti a questa equiparati, sono stati introdotti attraverso un decreto legge del febbraio di quest’anno (DL 6/2020), poi rivisto a marzo con un altro decreto legge (19/2020). Nel concreto, la stessa dichiarazione di emergenza nazionale e l’attribuzione ai Dpcm del potere di definire l’adozione delle misure di contenimento della pandemia appaiono non in armonia con le previsioni costituzionali, dato che tanto la dichiarazione di emergenza quanto le misure di contenimento incidono direttamente sui diritti costituzionali.



Può spiegare meglio questo punto?

La dichiarazione dello stato d’emergenza suscita grosse perplessità dal punto di vista costituzionale perché è affidata al solo governo che, in questo modo, si autolegittima nell’uso di poteri eccezionali. Di fatto, fino a quando dura lo stato d’emergenza sono possibili misure straordinarie fuori da un contesto di interazione dei poteri del governo, sia con il Parlamento, sia con il Presidente della Repubblica. La quale cosa in Costituzione non è prevista neppure per la dichiarazione e la conduzione della guerra. Infatti, l’art. 78 Cost. dispone che la prima sia di competenza delle Camere e la seconda del governo, ma entro i confini dei “poteri necessari” alla conduzione della guerra conferiti sempre dalle Camere. L’invenzione dei Dpcm, in funzione dell’assunzione delle misure di contrasto della pandemia, poi, ha un carattere abnorme dal punto di vista costituzionale, in quanto si è aperta una strada per la quale in nome dell’emergenza si può derogare alla Costituzione e all’assetto dei poteri da questa previsto in materia di diritti costituzionali.

Non è una situazione eccezionale in cui è a rischio la vita delle persone?

Io non entro nel merito delle intenzioni che possono anche sembrare buone, dico semplicemente che la Costituzione non prevede uno scambio tra la prevenzione, che garantirebbe la salute, e la vita, anche se – visto quello che è accaduto – non sembra che vi sia stata questa garanzia, in cambio delle libertà, compreso il diritto alla salute, per il quale nella pausa estiva si è fatto ben poco. Non so se è chiara la differenza; tutti i diritti costituzionali si possono limitare, la disciplina costituzionale è appunto la disciplina dei modi in cui si possono limitare le libertà, ma appunto la libertà è la situazione soggettiva prevalente, che si può limitare e non sopprimere. Con il principio di prevenzione la libertà è soppressa ed è permesso solo ciò che è statuito come possibile dal Dpcm. Il problema non è l’efficacia delle limitazioni o la loro utilità, anche se – ripeto – molte misure sono discutibili; il problema è se sono garantite le normative costituzionali in materia di diritti oppure no. Del resto, è sufficiente leggere le altre costituzioni, come quella francese o quella spagnola o ancora quella tedesca, per comprendere quanto sia in contrasto con lo Stato di diritto quello che è accaduto in Italia.

Che cosa prevede la legge tedesca?

La Germania per le situazioni di emergenza, diversa da quelle dell’emergenza esterna, che si distingue in stato di difesa (art. 115a e ss. GG) e in stato di tensione (art. 80a GG), prevede che, qualora un diritto fondamentale possa essere limitato con una legge o in base ad una legge, tale legge deve valere in generale e non per il caso singolo; inoltre, dispone che la legge deve individuare il diritto fondamentale indicando l’articolo interessato; e prevede che in nessun caso un diritto fondamentale può essere leso nel suo contenuto sostanziale; e, infine, dispone che chiunque è leso nei suoi diritti dal potere pubblico può adire l’autorità giudiziaria (art. 19 GG). In particolare, in questo caso la legge che interviene è quella sulla protezione dalle infezioni (Infektionsschutzgesetz) e, in particolare, le disposizioni di questa in tema di malattie infettive, che hanno costituito la base giuridica delle misure per la prevenzione e per il controllo della diffusione del Covid–19, adottate dal Governo federale e dai governi dei Länder.

In Spagna?

La Spagna dispone invece in Costituzione di tre figure ben delineate: lo stato d’allarme, lo stato d’eccezione e lo stato d’assedio (art. 116). Il primo, dopo la dichiarazione da parte del Governo può essere esteso oltre i 15 giorni solo previa autorizzazione del Congresso dei Deputati; il secondo può essere dichiarato previa autorizzazione del Congresso dei Deputati; e lo stato di assedio può essere dichiarato dalla maggioranza assoluta del Congresso dei Deputati, su proposta esclusiva del Governo.

E la Francia?

La Francia, pur avendo disposizioni costituzionali sull’interruzione delle funzioni costituzionali ordinarie (art. 16) e sullo Stato d’assedio (art. 36) ha adottato una legislazione di contrasto alla pandemia, inserendola nel codice della sanità, che prevede lo “stato d’urgenza sanitario”, il quale è dichiarato con decreto motivato del Consiglio dei ministri, sulla base dei dati scientifici disponibili come risultanti da una relazione del ministero della Sanità, e comunicato all’Assembla nazionale e al Senato, che possono chiedere tutte le informazioni complementari ritenute necessarie, nell’esercizio di poteri di controllo e di valutazione.

Tornando all’Italia?

Nel caso italiano, invece, le Camere sono state messe da parte dalla dichiarazione di emergenza nazionale, salvo forse qualche informativa, come abbiamo visto.

E perché sarebbero state messe da parte?

Per evitare il confronto sia con le opposizioni, e sia con la stessa maggioranza che sostiene il governo. Il governo si è allontanato dal Parlamento per evitare le opposizioni e, ancor di più, la sua stessa maggioranza. Nonostante ciò la maggioranza in molte occasioni è scoppiata ed è stato necessario mettere la fiducia sulle leggi di conversione di alcuni decreti legge. Non a caso è dovuto intervenire il Presidente della Repubblica con la sua moral suasion chiedendo la collaborazione tra governo e parlamento, tra maggioranza e opposizione e, come è accaduto di recente, ad un diverso atteggiamento del governo ha corrisposto un voto quasi unanime del Parlamento.

Il rapporto con le regioni però è stato centrale.

Il rapporto con le regioni è stato molto esaltato, salvo poi in alcuni momenti della seconda ondata rinnegarne l’importanza e rivendicare maggiori poteri centrali. Quando il governo si è appoggiato sulle regioni, non si può nascondere che vi è stata una certa strumentalità, perché la Conferenza dei presidenti delle Regioni forniva quella legittimazione che prendeva il posto del mancato confronto parlamentare. Tant’è che hanno parlato della Conferenza come di una terza Camera, ma questo non giustifica che il governo abbia mancato di rispettare le prerogative del Parlamento.

Hanno ragione quelli che dicono che se il governo ci impone la mascherina o le distanze o le chiusure e le cautele ci sta togliendo le libertà?

Non è questo il punto. Perché è fallita l’app “Immuni”? La sensazione è che ci siano tutte le premesse per un sistema di prevenzione, come detto, o di sorveglianza di massa. Il fallimento è dovuto a una disobbedienza della gente, la quale si sarebbe opposta al volere del governo proprio per via dell’inversione del rapporto tra diritti e limitazioni e della prevenzione come priorità rispetto ai diritti. Si dovrebbe dialogare col corpo elettorale, coi cittadini, e la via è il dibattito in Parlamento. Si chiama così per questo.