“Durante le festività è possibile che ci siano state disattenzioni a livello familiare e parentale più che sociale. Per scongiurare un ulteriore aumento dei contagi giusto intervenire con misure più restrittive” anche se in questo momento “nessuno può dire che cosa servirebbe o non servirebbe, non ci sono ricette facili e soprattutto ci stiamo muovendo in una situazione di grande fragilità”. Per Roberto Cauda, docente di Malattie infettive presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, la situazione dell’epidemia sta peggiorando: curva dei contagi che non scende più, Rt elevato con rischi di stress per pronto soccorso e ospedali, terapie intensive sopra la soglia critica del 30% di posti occupati.



La pandemia non sta allentando la presa?

Che la situazione non stia andando bene credo sia abbastanza evidente, come mostra l’appiattimento della curva dei contagi, che dopo aver raggiunto il suo picco nell’ultima decade di novembre, evidenzia adesso una stazionarietà, con decine di migliaia di contagiati al giorno, valori ancora piuttosto elevati. E anche il tasso di positività persiste sopra il 10%, un livello di guardia che difficilmente potrà scendere al di sotto, se non in misura episodica. In terzo luogo, l’indice Rt, che pure non contempla tutti i contagiati ma solo quelli sintomatici, è salito, destando una certa preoccupazione, perché prelude a un aumento di stress su pronto soccorso, ospedali e terapie intensive. Occorre, infine, tenere presente che, a macchia di leopardo, ci sono regioni più colpite rispetto ad altre, come per esempio Lombardia, Veneto, Lazio ed Emilia-Romagna.



Come è realmente la situazione nelle terapie intensive? Sono piene?

In Italia siamo probabilmente sopra il 30% di posti occupati, che è il livello di guardia. Anche in questo caso, a macchia di leopardo, ci sono regioni con livelli più alti rispetto ad altre, ma ciò dipende anche dalle dotazioni di posti letto in terapia intensiva, che variano molto da situazione a situazione. Anche nei posti letto occupati in ospedale stiamo vivendo un momento molto delicato. E il rischio di una ripresa dei contagi è molto concreto.

Le restrizioni non hanno funzionato? Bisogna introdurre misure più stringenti?



Proprio per scongiurare un ulteriore aumento dei contagi è giusto intervenire con misure più restrittive, anche se non fanno piacere a nessuno, perché limitano la nostra vita sociale e i nostri spostamenti. Quello che noi stiamo vedendo oggi è il frutto di quello che è stato fatto 15-20 giorni. E’ possibile che ci possano essere state nel periodo delle festività delle disattenzioni, che hanno coinvolto più le situazioni familiari e parentali che di socializzazione, come avvenuto questa estate. Però non è tanto importante dove uno si contagia, il problema è che si contagia e questo alimenta la diffusione.

Servirebbe un lockdown totale?

In questo momento nessuno può dire che cosa servirebbe o non servirebbe, non ci sono ricette facili e soprattutto ci stiamo muovendo in una situazione di grande fragilità. Bisognerà cercare di chiudere finché la situazione non migliora e poi riaprire progressivamente e magari richiudere, in attesa che il vaccino produca i suoi effetti. Tenga presente che con la nuova variante inglese il distanziamento di un metro deve essere portato a due metri. E’ molto difficile bilanciare ciò che è necessario, opportuno o utile fare, perché c’è una pandemia sanitaria a cui si è accompagnata una pandemia economica. Non c’è salute senza economia, non c’è economia senza salute.

Il ministro Speranza parla di recrudescenza dell’epidemia: è tutta colpa della variante inglese?

Difficile stabilire quale sia l’impatto delle nuove varianti, come quella inglese, che probabilmente sta già circolando, seppure non a livelli elevati, in alcune zone d’Italia. Vero che questa variante non è più grave ma solo più trasmissibile, ma potendo contagiare un numero maggiore di persone, anche il numero di ricoverati e di decessi sarà maggiore. Il virus sta in qualche modo evolvendo e questo ci dice che la seconda ondata ha caratteristiche diverse rispetto alla prima, perché la curva, non avendo fatto un lockdown duro come a primavera, non sta registrando una marcata discesa. E non si può ragionevolmente escludere che ci possa essere il concorso anche di qualche variante esterna.

L’aumento dei contagi, che favorisce l’insorgere di nuove varianti del Covid, può mettere a repentaglio la campagna dei vaccini?

Più che l’aumento dei contagi è la continua circolazione del virus che rende possibili le mutazioni. E ogni mutazione, come alcune di quelle avvenute finora, può essere favorevole al Covid oppure no. La mutazione D614G, il ceppo che ha caratterizzato la prima ondata in Italia e che sta attualmente circolando, gli ha dato un vantaggio rispetto al virus precedente, che ne è uscito sopraffatto. Finché il virus circola, il rischio di mutazioni esiste, ma non ne bastano una o due per inficiare l’efficacia del vaccino. Ad oggi le informazioni di cui disponiamo non ci dicono che il vaccino sia a rischio di inefficacia, però bisogna cercare di procedere speditamente con la somministrazione delle dosi, non solo per togliere la terra sotto i piedi al Covid, riducendo la possibilità di contagiare troppi soggetti suscettibili, ma anche perché meno si replica e minori possibilità ci saranno di condizionare gli effetti della vaccinazione. Bisogna avere, a mio avviso, una visione più globale.

In che senso?

Questa non è una pandemia solo italiana o europea, ma globale. Dobbiamo adottare un approccio globale, non si possono dimenticare i molti paesi che in una logica non di solidarietà rimarrebbero esclusi dal vaccino. Sarebbe un errore perché, continuando a mantenere attivi dei focolai sparsi qua e là, corriamo il rischio che le mutazioni, oggi irrilevanti sull’efficacia del vaccino, in futuro potrebbero non essere più tali.

(Marco Biscella)

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