“È un discorso alto, che non scende sul terreno della polemica politica ma dice la verità al paese”. Stefano Folli, editorialista di Repubblica, commenta le parole che Mario Draghi, ex governatore di Bankitalia e predecessore di Christine Lagarde alla guida della Bce, ha rivolto ieri al Meeting di Rimini nell’incontro che ha inaugurato la kermesse di Cl. Molti i temi toccati: la minaccia rappresentata dalla pandemia “per il tessuto della nostra società”; il pragmatismo necessario per farvi fronte e non essere “controllati dall’incertezza”; l’aumento delle diseguaglianze, l’inadeguatezza degli assetti che hanno governato la globalizzazione, comprese alcune delle regole europee; il ruolo del debito, quello buono e quello cattivo, insostenibile; l’importanza della trasparenza e della condivisione “per la credibilità dell’azione di governo”, la necessità di investire nei giovani, il rafforzamento del progetto europeo.



“È il discorso serio” dice Folli al Sussidiario “di un signore che sa che c’è un’enorme carenza di autorevolezza nel paese. Questo governo non è minimamente autorevole – questo non lo ha detto Draghi, e ripeto, non poteva dirlo; lo dico io – e c’è l’esigenza di avere un punto di riferimento autorevole cui poter guardare con fiducia. Draghi non ha un ruolo, ma è stato presidente della Bce e ha come nessun altro il polso della situazione economica dell’Italia e dell’Unione. Ha usato un linguaggio di verità, richiamando la politica a esercitare il suo mestiere e farlo con responsabilità vera, senza nascondersi dietro le parole”.



Il passaggio che l’ha più colpita?

Tutti i contenuti sono estremamente significativi, nessuno escluso. Certo il richiamo ai giovani è importante, non meno però di quello relativo al debito buono e a quello cattivo. Si può fare debito per ammodernare il paese, per creare occupazione e diminuire le diseguaglianze, oppure si possono sprecare i soldi facendo debito cattivo.

“I sussidi servono a sopravvivere, a ripartire”; ma “finiranno”. Non è una critica all’attuale governo?

Certo. In un contesto però di più ampio respiro, non finalizzato alla polemica diretta. Individuando i limiti e i difetti di questo governo, Draghi individua anche quelli di tutti i governi recenti. Elargire sussidi è indebitarsi per spese clientelari; non mi pare un’esclusiva del Conte 2.



Sì al debito se è sostenibile. Forse non è esattamente il modo in cui l’Italia lo sta facendo.

Senza dubbio. Abbiamo visto il nostro rapporto debito/Pil crescere enormemente, ma siamo al 18 agosto e nessuno sa ancora esattamente come spenderemo i soldi che arriveranno dall’Europa.

“Trasparenza e condivisione sono sempre essenziali per la credibilità dell’azione di governo”. Una frase calzante…

C’è un buco nero che dev’essere rischiarato, altrimenti si rischia di perpetuare il difetto nazionale di fare debito per spese poco o per nulla produttive ai fini di dare una risposta alle esigenze delle nuove generazioni e di ammodernamento del paese.

La ministra Azzolina non dev’essere stata particolarmente contenta nel leggere il passaggio relativo ai giovani. Si parla di “visione di lungo periodo”, del fatto che è “imperativo e urgente un massiccio investimento di intelligenza e di risorse finanziarie in questo settore”.

Certamente no, l’Azzolina è diventata l’emblema negativo di uno stile di governo che non riguarda solo lei e neppure soltanto questo esecutivo. Il discorso coglie abilmente i limiti strutturali dei Governi che si sono succeduto negli ultimi anni, compresi Renzi e i giallo-verdi.

Cosa è mancato, politicamente?

La capacità di fare un discorso chiaro al paese, un discorso di assunzione di responsabilità sulla base di un patto di rinascita, e lo dico senza retorica, tra i governi che si sono succeduti e il popolo italiano. Anzi siamo stati seppelliti dalle chiacchiere.

Vale a dire?

Un discorso del genere, fatto il 18 agosto, suona ancora più drammatico se pensiamo ai dieci lunghissimi giorni degli stati generali a Villa Pamphili, a cos’è stata quella perdita di tempo. E oggi una figura autorevole come è Draghi, fuori dalla politica, ci viene a dire che sarebbe il caso di non perderne altro.

Per tornare a crescere, ha detto Draghi, serve certezza. “Altrimenti finiremo per essere controllati dall’incertezza invece di esser noi a controllarla”. Siamo in un momento in cui l’incertezza, dalle mascherine ai trasporti, dalla scuola alle presunte avvisaglie di una seconda ondata, sembra usata come strumento di governo.

Non entro nello specifico perché Draghi non lo ha fatto. Ognuno, nell’incertezza da lui citata, può metterci quello che ritiene. Il problema dell’incertezza a mio avviso è più ampio, tocca la cultura politica carente di questo paese. E riguarda un ampio spettro di forze.

Che cosa intende?

Oggi manca completamente una classe dirigente. Forse è questo il vero messaggio di Draghi, al fondo di tutto.

Draghi è stato la massima autorità monetaria dell’eurozona. Ha sottolineato gravi limiti delle regole europee, dal patto di stabilità agli aiuti di Stato. Queste critiche che sapore hanno?

Sono condivisibili. Bisogna uscire dalla propaganda politica, lo devono fare i sovranisti ma anche gli europeisti. Seguire Draghi vuol dire camminare su un sentiero di realismo. L’europeismo retorico è un europeismo che non vede la difficoltà del compito di essere europei. Draghi invece ha portato il discorso sul terreno delle riforme vere di cui il paese ha bisogno.

Cosa significa riforme vere?

Sono quelle che rendono il paese adatto ai giovani, non un posto da cui i giovani fuggono. Abolire il Senato o tagliare i parlamentari sono soltanto palliativi che servono alla propaganda politica.

Il Meeting è stato accusato di opportunismo politico per avere invitato Draghi in apertura. Lei che ne pensa?

Il Meeting ha sempre invitato alte personalità, evidentemente a qualcuno dà fastidio che Draghi abbia parlato nei termini in cui l’ha fatto.

A chi darebbe fastidio?

Al governo innanzitutto. Non è un problema del Meeting, semmai di chi fa questa critica.

(Federico Ferraù)