Mario Draghi non farà come Mario Monti, Lamberto Dini e – in parte – come Giuseppe Conte: non diventerà un “leader di partito”, né tantomeno ne fonderà lui uno: dopo l’esperienza finora complessivamente positiva a Palazzo Chigi, la politica si interroga all’inizio del “semestre bianco” sul futuro possibile dell’ex Bce, intrecciato nei destini contemporaneamente di Quirinale, Governo e anche Commissione Europea (è uno dei nomi in lizza per il dopo Von der Leyen). Con l’uscita di scena di Angela Merkel il prossimo autunno, Draghi è il leader più autorevole e importante dell’intera Europa e questo dovrebbe portarlo a “evitare” la salita al Colle ad inizio 2022, vista l’importanza strategica della sua “garanzia” agli occhi europei nel pieno del Recovery Plan italiano.
Eppure – rimbalza dalle colonne del “Giornale” oggi con Adalberto Signore – il futuro politico di Draghi non è per forza da ritenersi chiuso dopo il 2023, con la conclusione naturale della legislatura: secondo lo “spiffero” del quotidiano di Berlusconi, è assai improbabile che il Premier possa costruirsi un suo movimento, ma è innegabile che dentro ogni partito in Parlamento vi siano forze “pro Draghi” pronte ad un cambio di rotta nei prossimi mesi. (Equi)Distante da tutti i partiti nel modo giusto per provare a trovare sintesi ‘spericolate’ su tutti i temi in agenda, il Presidente del Consiglio nutre schiere di “fan” un po’ dovunque in Parlamento: Guerini (Pd), Giorgetti (Lega), Di Maio (M5s), Renzi (IV), Brunetta e Gelmini (e in parte anche Berlusconi) per citarne solo alcuni, sembrano tutti conquistati dal “draghismo” senza per questo modulare una proposta futura specifica.
COSA FARÀ MARIO DRAGHI DOPO IL 2023?
Le parole di un navigato politico come Osvaldo Napoli (ex FI, oggi in Coraggio Italia) al “Giornale” sono lungimiranti in tal senso: «Ormai da settimane è in corso un forte pressing per accelerare la federazione tra Lega e Forza Italia perché è evidente che il panorama politico visto fino ad oggi sarà radicalmente cambiato prima delle elezioni politiche del 2023». La corsa al Quirinale sarà certamente un primo step per capire cosa vorrà fare Draghi “da grande”: qualora dovesse rimanere saldo a Palazzo Chigi per assicurare il ruolo di prim’ordine dell’Italia in Europa dopo il 2022, un potenziale accordo tra i partiti sulla legge elettorale ti tipo proporzionale potrebbe aprire l’orizzonte ad un movimento “pro-Draghi” che possa continuare anche oltre il 2023. «In una competizione proporzionale – spiega il sottosegretario agli Esteri Della Vedova (+Europa) – sarebbe uno sbocco quasi fisiologico, in una sfida maggioritaria potrebbe invece essere un punto di arrivo solo in caso di pareggio. Ma difficilmente sarebbe una soluzione incruenta»; se ci si aggiunge le varie nomine delle partecipate del MEF, a partire da Cdp, l’opera di Draghi sta già modificando l’impianto del Paese nei prossimi anni, partito o non partito. Lo ha ben spiegato a “Il Giornale” Lorenzo De Sio, ordinario di Scienza Politica alla Luiss e direttore del Centro Italiano di Studi Elettorali (Cise): «Quello che vedo è che, poiché Draghi ha una maggioranza molto ampia e composita, quando si entra nel concreto delle scelte politiche emergono inevitabili dissensi. È successo sul green pass e sui vaccini nel centrodestra, ed è successo sulla riforma della giustizia a sinistra e nei Cinque Stelle. Quindi questa area trasversale draghiana che si starebbe formando la vedo più che altro come una reazione agli scricchiolii nella maggioranza; un’area all’interno dei diversi partiti che vuole ribadire lealtà al governo e al premier».