Il sospiro di sollievo degli europeisti domenica sera è sembrato talmente intenso da assomigliare quasi a un tornado. Fra chi lo ha alimentato anche i vertici dello Stato italiano. Solo Matteo Salvini, coerentemente, ha fatto le congratulazioni alla sconfitta, Marine Le Pen. Se avesse vinto, sarebbe cambiato l’intero quadro continentale, dentro e fuori l’Unione.
Così non è stato, quindi per la quasi totalità della politica italiana: tutti con Macron, a festeggiare una fase in cui fra il voto francese e quello tedesco il progetto europeo avrebbe potuto essere messo seriamente in discussione. Pericolo scampato, per gli europeisti. Per Draghi, che ha parlato di splendida notizia per l’Europa. Allo stesso modo per Mattarella, che ha sponsorizzato fortemente non solo la ricucitura con Parigi, dopo la crisi provocata da Di Maio a inizio 2019, ma anche la stesura e la firma del Trattato del Quirinale, sottoscritto in pompa magna nel novembre scorso.
Cambia molto nella politica estera italiana, anzi, non cambia assolutamente nulla. La vittoria di Macron conferma la linea sin qui seguita e le conferisce rinnovato slancio. Una adesione convinta alla costruzione europea, nella quale è decisivo tornare a pesare. La sponda di Parigi, in questo senso, diventa fondamentale, ma non basta. Serve anche un’Italia forte, capace di recuperare quella credibilità che i governi targati Conte hanno appannato, il secondo un po’ meno del primo. In questo Draghi è il presidente del Consiglio ideale, forte del proprio prestigio personale. Con un altro premier a Palazzo Chigi lo squilibrio a vantaggio della Francia sarebbe insopportabile.
La partita europea è complessa. C’è il Pnrr da continuare ad applicare, con i suoi step successivi di traguardi da raggiungere per ricevere le varie rate di fondi europei. C’è il ritorno alla politica di austerità da allontanare nuovamente. E su tutto la crisi ucraina da gestire, il tentativo di fare passi avanti verso una difesa comune in ambito Ue e in coordinamento con la Nato.
È un passaggio delicatissimo quello della guerra alle porte dell’Europa, in cui spicca la fase di acuta debolezza che sta attraversando la Germania dopo l’uscita di scena di Angela Merkel. Il successore Olaf Scholz sembra appesantito da ragioni dettate dal sistema industriale tedesco, fortemente legato alle forniture energetiche russe. Non è certo Scholz in questo momento a esprimere la leadership europea. Con Putin e Zelensky tratta soprattutto Macron. La sponda italiana può rivelarsi preziosa, con reciproci vantaggi, per Parigi e per Roma. Un nocciolo duro, dove la sponda italiana può supplire la debolezza tedesca, pur senza ambire a sostituirne il ruolo centrale.
Per irrobustire questa prospettiva è in vista quella che appare un’autentica offensiva diplomatica italiana. A dare il via è il presidente Mattarella, che oggi interverrà all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, l’organismo preposto alla tutela dei diritti umani, di cui – sotto la presidenza di turno italiana – è appena stata estromessa la Russia.
Nei giorni successivi, sempre a Strasburgo, arriverà Draghi, per parlare davanti al Parlamento europeo. Poi per il premier sono in vista altri due viaggi di estremo rilievo, quello a Kiev e quello a Washington, entro metà maggio. In parallelo a questa operazione di accreditamento internazionale è destinata a proseguire la caccia a nuovi canali dì approvvigionamento energetico per ridurre la dipendenza dalla Russia e, in prospettiva, annullarla. Dopo Algeria, Qatar, Congo e Angola sarà la volta del Mozambico. Certo, poi rimarrà il problema di trovare sul mercato internazionale dei rigassificatori galleggianti, infrastruttura di cui l’Italia scarseggia.
La politica estera italiana mai come in questa fase sembra indirizzata a trovare il modo di sostenere l’economia, cercando di limitare gli effetti collaterali della scellerata guerra scatenata da Vladimir Putin. Ma se la prospettiva appare chiara e lineare, è legittimo nutrire qualche dubbio sulla compattezza della coalizione di governo. E non solo per quanto riguarda Salvini che si congratula con la Le Pen. Anche il Movimento 5 Stelle mostra falle quanto alla piena adesione alla prospettiva euroatlantica. I dubbi e le perplessità di Giuseppe Conte sulla fornitura di armi all’Ucraina sono lì a dimostrare che Draghi (e Mattarella) debbono guardarsi anche dal fronte interno.
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