Ieri il Premier “in pectore” super-Mario Draghi ha incontrato le parti sociali, ma, come sempre in queste consultazioni, non sono uscite le tradizionali anticipazioni. Per immaginare, tuttavia, alcune scelte strategiche, e programmatiche, si può certamente iniziare a riflettere su alcuni dati consolidati.

L’Italia ha quasi 13 milioni di adulti tra i 25 e i 64 anni con basso livello di istruzione e concentra quasi un quarto della popolazione adulta europea senza un titolo secondario superiore. Se poi consideriamo il bisogno di alfabetizzazione linguistica, numerica e digitale, la quota di popolazione adulta che necessita di aggiornare le proprie competenze è stimata tra il 50-60% del totale. La percentuale di partecipazione degli adulti del nostro Paese ad attività di formazione è, inoltre, tra le più basse in Europa e riguarda soprattutto chi già lavora.



Da questa analisi parte, ad esempio, un appello sottoscritto, nei giorni scorsi, da un variegato numero di esperti che operano in diversi enti/istituzioni nel campo della formazione professionale e dell’innovazione e della ricerca educativa, con un una lettera aperta al Governo che verrà, con lo scopo di promuovere, entro il 2025, l’ambizioso obiettivo europeo del 50% di adulti che partecipano in attività formative almeno una volta ogni 12 mesi.



Gli scriventi auspicano che il Governo investa una parte significativa delle risorse del Recovery Plan sulla formazione continua non solo per affrontare il gap di competenze a sostegno dell’occupazione, ma anche per garantire la modernizzazione della Pubblica amministrazione, la digitalizzazione dell’economia e il sistema di istruzione scolastica.

Next Generation Italia rappresenta, in questo quadro, un’occasione (unica?) per creare anche nel nostro Paese un vero e proprio sistema di formazione permanente in grado di dare accesso sistematico e opportunità di formazione e sviluppo delle competenze a tutti gli italiani, siano essi occupati stabilmente o in forme atipiche, in cerca di occupazione, liberi professionisti, promotori di proprie iniziative imprenditoriali, o, ahimè, al di fuori del mercato del lavoro.



In una società dinamica e capace di cambiare in direzioni sostenibili come auspica a essere la nostra, la sfida, insomma, va ben oltre i cosiddetti low skilled, a cui giustamente le politiche europee dedicano una particolare attenzione. Tutte le persone dovranno, infatti, avere la possibilità di beneficiare di percorsi formativi che consentano sia di migliorare le proprie competenze lungo tutto l’arco della vita, sia di contribuire all’innovazione e competitività del nostro sistema Paese.

La tenuta sociale, e un moderno welfare state, passa, oggi, insomma anche dalla capacità di valorizzare le competenze, non solo di base, dei cittadini. Anche di questo, probabilmente, hanno parlato il Premier incaricato e le parti sociali. Un Governo “tecnico” come quello che si prospetta è, infatti, da auspicarsi che nel declinare il suo programma per il rilancio del Paese incontri e dialoghi con il mondo della ricerca e degli esperti, e non solo con i rappresentanti “istituzionali” dei settori produttivi e dei lavoratori, e che faccia propri gli stimoli e le proposte che vengono da chi, quotidianamente, studia e analizza le dinamiche delle società più avanzate alle quali l’Italia deve provare a ispirarsi per uscire dalla crisi del Covid più forte e competente di prima.

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