TRA PENSIONI E LAVORO. Mario Draghi ha iniziato il secondo giro di consultazioni. Se è vero che il Governo dovrebbe giurare in settimana è immaginabile che, in quest’occasione, sia il Presidente incaricato a parlare per illustrare le linee del suo programma. Senza permettermi consigli, peraltro non richiesti, credo che il Presidente incaricato svolgerebbe in modo esauriente l’ultimo miglio del suo itinerario rivolgendosi ai rappresentati dei partiti interessanti a partecipare a questa svolta della politica italiana, con queste parole: “Dove eravamo rimasti?”. E facendo distribuire ai presenti da un assistente parlamentare una copia che, in data 5 agosto 2011, sottoscrisse con Jean-Claude Trichet e inviò a Silvio Berlusconi, allora precariamente alla guida del suo ultimo Governo.
La politica ha la memoria troppo corta per ricordarsi di quanto accadde quasi dieci anni or sono. Eppure per diversi aspetti quella lettera sembra scritta ieri, perché molte di quelle raccomandazioni perentorie sono ancora in attesa di adeguate soluzioni. È il caso di ripubblicare, dunque, quello scritto che mandò a gambe all’aria un esecutivo e tirò la volata a un Governo tecnico presieduto da Mario Monti incaricato – così si disse – di salvare il Paese dalla bancarotta.
Ovviamente è opportuno omettere quelle prescrizioni allora riferite alla riduzione dell’indebitamento e del debito e alla vigilanza sui titoli di Stato, essendo queste materie oggetto di quel “liberi tutti” che è divenuto – speriamo temporaneamente – il regime dell’Europa al tempo del Covid-19. Osserviamo invece, a stralcio, le misure operative ponendoci alcune domande di buon senso: questi problemi sono stati risolti? Se rimangono tuttora aperti è venuta meno la loro attualità oppure continuiamo a tirare diritto, more solito, accantonando i problemi od operando in senso contrario rispetto a quanto dovuto?
“Nell’attuale situazione, riteniamo essenziali le seguenti misure:
1. Le sfide principali sono l’aumento della concorrenza, particolarmente nei servizi, il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e il ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l’efficienza del mercato del lavoro.
a) È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.
b) C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione.
c) Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi.
2.Il Governo ha l’esigenza di assumere misure immediate e decise per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche.
a) È possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012. Inoltre, il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi. (………)
3. Incoraggiamo inoltre il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese. Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione). C’è l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province). Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali.
Il primo punto ribadisce la strategia del rafforzamento della concorrenza, delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, specie nella gestione e fornitura dei servizi. Anche le riforme fiscali dovrebbero essere finalizzate a rendere più competitivo il sistema produttivo. Purtroppo, sotto la spinta della pandemia, è tornata a circolare una gran voglia di intervento dello Stato nell’economia, non già per sollecitare un’allocazione di risorse verso nuovi asset strategici, ma per garantire una gestione assistita ad aziende decotte, con rischio di trasformare la Cdp non in un nuovo Iri, ma in una riedizione dell’Efim. Agli obiettivi della maggiore competitività dovrebbe rivolgersi, secondo la lettera, “una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi”.
A tal proposito va riconosciuto che – dopo la legge n. 92/2012 sulla riforma del mercato del lavoro – il pacchetto del Jobs Act con i suoi decreti legislativi ha implementato la materia, con l’introduzione del contratto a tutele crescenti e la riforma degli ammortizzatori sociali. E, a dire il vero, per ora nessun Governo si è azzardato a modificare questo impianto, salvo la scivolata del decreto dignità sulle condizionalità dei contratti a termine (a modifica del decreto Poletti del 2014) poi ricondotta a un maggiore realismo (anche perché è in questa tipologia che si riscontra la caduta dell’occupazione).
Anche se non sono state modificate le norme le riforme del mercato del lavoro introdotte negli ultimi anni sono state “sospese” attraverso il blocco dei licenziamenti individuali e collettivi per motivi economici e le proroghe della Cig da Covid-19, misure perfettamente allineate con l’idea che – passata la crisi sanitaria – tutto tornerà come prima e che, pertanto, per ora bastano i c.d. ristori sia dei redditi che dei fatturati perduti. In sostanza rimangono per aria quei provvedimenti chiamati a realizzare: “un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi”.
Invece le politiche attive sono state confuse con il reddito di cittadinanza, determinando una situazione fallimentare riconosciuta tale anche dalle forze politiche che si erano intestate quella misura. Quanto al sistema pensionistico, la lettera aveva individuato nel ridimensionamento del pensionamento di anzianità una svolta rispetto alla principale anomalia dell’ordinamento. In questa direzione si era mossa la riforma Fornero nel 2011, ma nella XVIII legislatura l’introduzione di quota 100 e misure affini sono tornate a collocare il trattamento di anzianità al centro del sistema.
Vi era poi la segnalazione di alcune riforme tra cui quella fiscale e della sanità (ci siamo accorti nel 2020 quanto quest’ultima fosse urgente), mentre veniva raccomandato un radicale intervento sull’amministrazione pubblica sia nel suo ruolo di servizio all’economia, sia per i suoi costi e la sua inefficienza. A leggere con attenzione la lettera emergeva anche la strategia da seguire nel campo dei servizi: “Attraverso privatizzazioni su larga scala”.
Ultima notazione disattesa, che Draghi dovrà affrontare negli incontri con i sindacati che hanno rimesso al centro della loro iniziativa la contrattazione nazionale di categoria: “C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione”.
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