Conoscenza, coraggio e umiltà sono le qualità più importanti che dovrebbero sorreggere una buona leadership secondo il pensiero di Mario Draghi, ex Presidente della Bce, già Governatore della Banca d’Italia, incaricato dal capo dello Stato Sergio Mattarella di formare il nuovo Governo. La personalità del momento.



Ad ascoltarlo e onorarlo a Francoforte, il 28 ottobre 2019, si era dato appuntamento il gotha della politica, dell’economia e della finanza dell’intero Continente. Era il suo giorno d’addio al vertice della Banca centrale europea e il parterre, selezionatissimo, era desideroso di rendere omaggio al salvatore dell’euro.



Lì sul palco, dopo aver incassato le lodi emozionato e grato, ha distillato la sua ricetta per il successo: personale e dell’istituzione a cui ha cambiato volto e carattere forzandola a entrare in terreno “incognito” e scoprendo colpo dopo colpo la forza del bazooka montato con i soldi del Quantitative easing.

Queste osservazioni – ripetute al Meeting di Rimini dello scorso agosto, ma con meno impatto a causa della pandemia – ci tornano utili per comprendere la scala dei valori dell’uomo e il metro di giudizio che vorrà adoperare nelle scelte, tante e difficili, che si appresta a compiere a vantaggio del Paese.



Tutto nasce dall’umiltà, dote fondamentale per attingere alla saggezza socratica del “sapere di non sapere” e sviluppare per questa via una formidabile sete di conoscenza. Soddisfatta la quale si possono concepire pensieri e azioni di coraggio. Il minimo indispensabile per mettersi in gioco e fare la differenza.

Conoscenza e coraggio sono intimamente connessi. Solo studiando, approfondendo e avendo consapevolezza dei rischi che si corrono è possibile superare la paura e assumere decisioni che sentiamo giuste ma di cui potremmo pentirci. Senza conoscenza non c’è coscienza di ciò che facciamo e quindi neanche coraggio.

Naturalmente la conoscenza del fatto e del pericolo connesso non necessariamente attiva l’azione coraggiosa. Anzi, è molto più frequente il caso di chi ben si guarda dall’agire – o agisce in difformità dal necessario – proprio per evitare le conseguenze possibilmente dannose della propria iniziativa.

A ogni buon conto, è indiscusso che il coraggio derivi dalla conoscenza e che quest’ultima discenda dall’umiltà. Ossia dalla consapevolezza di non essere mai sufficientemente adeguati e preparati ad affrontare un problema (figurarsi quando i problemi sono tanti e intrecciati) con la presunzione di risolverlo.

Osservando la dinamica di questi principi possiamo accorgerci che all’esecutivo uscente – e a molti dei suoi protagonisti – è mancato proprio il rispetto della filiera indicata. Non umiltà-conoscenza-coraggio, ma qualcosa che somiglia molto al suo contrario: arroganza-ignoranza-incoscienza. Non che siano mancate lodevoli eccezioni e finanche evoluzioni di chi, partito da posizioni di poca conoscenza, ha recuperato terreno facendo affidamento su buone dosi di umiltà. Ma la cifra generale della compagine, la percezione della sua solidità soprattutto all’estero, ha lasciato molto a desiderare.

E questo a prescindere perfino dalla buona volontà e dalle buone intenzioni di molti che, disancorati dalla conoscenza e dunque impossibilitati a fornire prove di coraggio, hanno troppo spesso raggiunto risultati opposti e comunque diversi da quelli sperati. Rendersene conto è già un passo avanti.

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