È stato pubblicato e presentato ufficialmente nella mattinata di oggi il rapporto sulla competitività UE commissionato diversi mesi fa dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen all’ex premier italiano (nonché direttore della BCE durante il difficile periodo della crisi del debito) Mario Draghi che su circa una 60ina di pagine riflette sulle sfide che attendono i 27 nell’immediato futuro tracciando una sorta di ‘percorso’ che le istituzioni europee e gli stati membri dovranno intraprendere per mantenere il passo con gli altri colossi mondiali.



Il punto di partenza del banchiere affonda le sue radici in quei “valori fondamentali dell’Europa” che vanno dalla libertà, fino alla pace, alla prosperità economica, all’equità e alla democrazia con un invito affinché non si dimentichi l’insegnamento dei padri fondatori per evitare che l’Unione perda “la sua ragione d’essere”; per poi accendere i riflettori su quelli che ritiene i principali punti del suo programma: innovazione, energia e sicurezza, il tutto al fine di promuovere lo sviluppo di un’istituzione che oggi sembra essere troppo distante dal resto dei competitor internazionali.



Recuperando – poi – l’insegnamento già fatto pochi mesi fa dal collega Enrico Letta, Draghi rinnova l’invito a completare quell’ormai imprescindibile mercato unico che potrà garantire un necessario coordinamento tra politiche commerciali ed industriali, senza dimenticare anche la concorrenza; ma per farlo il suo suggerimento è quello di superare una volta per tutte le divisioni politiche tra stati membri giungendo ad un sistema in cui le decisioni non vengano più prese all’unanimità, ma con una “maggioranza qualificata” che lascerebbe il posto – sui terreni politici più dibattuti – ad una “cooperazione rafforzata”.



Mario Draghi e il report sulla competitività UE: 170 proposte dal costo di 750 miliardi di euro

Complessivamente il rapporto sulla competitività UE presentato dall’ex premier italiano contiene qualcosa come 170 proposte e – presentandole al pubblico di politici e curiosi – non ha mentito riguardo al fatto che richiederanno un piano di investimenti tra i più vasti mai visti nell’intero mondo: le sue stime parlano di circa “750-800 miliardi di euro” aggiuntivi rispetto all’attuale spesa istituzionale, che sarebbero pari a poco più del 4% del Pil dell’eurozona; ma d’altro canto ritiene anche che tutte le sue proposte – con i doverosi sforzi – “sono attuabili fin da subito“.

Buona parte del report di Draghi si concentra attorno alla questione del debito comune, suggerendo che la produttività si potrà aumentare solo con “un finanziamento congiunto negli investimenti in beni pubblici” che dovrebbe riguardare soprattutto i settori innovativi come le tecnologie green, digitali o la difesa: l’idea è di ricorrere a più progetti simili al NextGenerationEU, senza dimenticare che una scelta del genere richiederebbe anche “un insieme più forte di regole di bilancio” che permettano di aumentare il debito europeo senza pesare su quello nazionale dei 27.

Cosa contiene il report di Draghi: cooperazione, sussidiarietà e investimenti

Nel capitolo dedicato alla cooperazione, Draghi propone di “rimuovere gli ostacoli, armonizzare regole e leggi e coordinare le politiche” per arrivare ad un futuro in cui le decisioni non siano subordinate (e soprattutto rallentate) dal peso ingente di una burocrazia schiacciante; mentre guardando al resto del mondo il banchiere sostiene l’idea di formare una “politica comune estera” che ci garantisca la sicurezza degli approvvigionamenti di quelle materie prime sempre più importanti per il futuro green.

Similmente – tornando agli investimenti -, nel rapporto sulla competitività UE viene ribadita l’importanza di finanziare ricerca e sviluppo per concentrarli “su iniziative comuni (..), nuovi programmi [e] progetti di difesa di interesse comune” che ci portino direttamente verso una vera e propria – oltre che definita “necessaria” – cooperazione tra le numerose industrie europee. Infine, parte del rapporto viene dedicato anche al concetto di “sussidiarietà” per suggerire (ancora una volta) di ridurre il lunghissimo iter legislativo con le istituzioni che dovrebbero tenere tra le loro mani un “maggiore autocontrollo” sulle decisioni prese.