Mario Draghi ha tenuto ieri alla Camera le Comunicazioni in vista della trasmissione alla Commissione europea del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Come noto, il Consiglio dei ministri che aveva ad oggetto l’esame del documento è stato rinviato di oltre 24 ore (dalle 17:00 di venerdì alle 21:30 di sabato) e pare che sia stato possibile riunire l’esecutivo a palazzo Chigi solo dopo una telefonata effettuata dal Premier alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.



Una telefonata, spiega Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, irrituale e causata da «tentativi di influenzare l’agenda italiana e il Pnrr al di là di quelle che sono le sedi e i canali istituzionali».

Draghi ha presentato il Pnrr al Parlamento. Sinteticamente, cosa pensa di questo documento?



In poco spazio posso naturalmente trasmetterle alcune impressioni, trattandosi di un documento di oltre 300 pagine che affronta molti temi cruciali per il nostro Paese. Fatta questa premessa, ritengo che ci sia una maggiore consapevolezza strategica rispetto alla bozza di Pnrr redatta dal precedente esecutivo e che questa venga meglio declinata in termini progettuali. Peraltro questo si riflette anche in un lessico più professionale, più maturo. Ciò non toglie che, a mio avviso, vi siano alcune criticità.

Quali?

Rispetto a quelle che sono alcune specificità italiane, come il fatto di avere 7.500 km di coste, credo che l’economia del mare non abbia avuto sufficiente spazio nel Pnrr e che ciò rappresenti un’opportunità persa. Un altro aspetto critico riguarda la consultazione parlamentare a ridosso dell’invio del documento a Bruxelles, che non offre la possibilità di un confronto significativo. Peraltro il Parlamento non ha potuto fornire input rilevanti neanche nella redazione della versione precedente.



Veniamo ora alla telefonata Draghi-von der Leyen. Cosa ne pensa?

Quella del Pnrr è una partita molto importante per l’Italia e per questo va negoziata in modo che l’interesse nazionale venga adeguatamente tutelato. Il fatto che la telefonata sia stata fatta da Draghi, persona al di sopra di ogni sospetto, sgombra il campo da ogni possibile equivoco, perché un altro al suo posto sarebbe stato facilmente bollato come euroscettico. Abbiamo già visto in passato che chi avvia una dialettica con le istituzioni comunitarie può facilmente essere etichettato in modo negativo. L’aspetto più interessante della vicenda è comunque il motivo che ha spinto Draghi a questa telefonata irrituale.

Secondo lei di quale motivo si tratta?

Questa telefonata irrituale testimonia i tentativi che sono stati fatti di influenzare la stesura del Pnrr al di là di quelle che sono le sedi e i canali istituzionali. È la prova di continue interferenze con l’obiettivo di influenzare l’agenda italiana oltre quella che è la normale condizionalità prevista da un prestito internazionale.

Da parte di chi sono stati fatti questi tentativi?

Da quanto si apprende da fonti di stampa, direttamente dalla Commissione europea. È ovvio però che quest’ultima non opera in una sorta di “bolla”, ma sotto l’influenza di grandi Paesi europei che decidono le politiche comunitarie.

C’era un qualche segnale evidente di queste pressioni relative al Pnrr?

Mi pare che all’attenzione della Commissione europea non vi siano tanto le infrastrutture e i piani di investimento, per quanto assai importanti, ma le cosiddette riforme abilitanti, come quella della Pa, della giustizia, del fisco, della concorrenza. Con il Recovery fund Bruxelles ha l’occasione importante, se non unica, di influenzare i termini e le tempistiche di queste riforme.

Quali possono essere le conseguenze di queste pressioni su tempi e termini delle riforme, oltre alla possibilità che non rispettandoli si perdano le risorse del Recovery fund?

Il tentativo è quello di far prendere all’Italia una serie di impegni. Il problema è che qualora non fossero mantenuti, il nostro Paese diventerebbe vulnerabile rispetto alla volontà politica della Commissione o dei Paesi europei più influenti che potranno benevolmente chiudere un occhio oppure non farlo. L’Italia dovrebbe invece prendere consapevolmente degli impegni, negoziarli sulla base del proprio interesse e facendo valere il proprio peso di terzo azionista dell’Ue, e poi mantenerli. Per questo è importante quel che dicevo riguardo il confronto parlamentare, perché questi impegni pluriennali devono in qualche modo essere legittimati da un proficuo dibattito in Parlamento.

Lei sta comunque offrendo una lettura diversa da quella che è stata fatta dalla stampa mainstream. Draghi non ha chiamato von der Leyen per fornirle rassicurazioni sul fatto che l’Italia manterrà gli impegni sulle riforme, ma per respingere delle pressioni…

Diciamo che non ci sarebbe stato motivo di fare quella telefonata irrituale se non ci fossero state delle azioni anch’esse irrituali intraprese dal destinatario di questa telefonata o dalla struttura che rappresenta. Ci sono stati tentativi concreti di influenzare la stesura del Pnrr al di là di quelli che sono i canali istituzionali di confronto. Mi sembra che il contesto in cui la telefonata è maturata indichi ciò.

Questi tentativi di pressione ci saranno anche nei prossimi mesi?

Credo che siamo solo all’inizio. Il Pnrr è un piano strategico, quindi le riforme e i progetti sono elencati in modo sintetico. Quando tutta la macchina del piano comincerà a partire, i progetti verranno, come si dice, “scaricati a terra” e naturalmente ci saranno delle verifiche intermedie e non mancheranno nuove pressioni. In questo percorso la credibilità personale, oltre che istituzionale, del presidente del Consiglio, consente di porre un argine.

Meglio quindi che Draghi resti al Governo.

Sul piano personale e istituzionale, Mario Draghi ha un profilo ineccepibile, ma le riforme indicate nel Pnrr richiedono un accordo politico tra le forze di una maggioranza estremamente eterogenea che non sono d’accordo su nulla. Temo che la credibilità di una sola persona, per quanto ampia, non sia sufficiente. Assisteremo penso a una sorta di prova del nove dell’esecutivo su questo fronte.

La settimana scorsa è arrivato anche il via libera della Corte Costituzionale tedesca alla ratifica del Recovery fund. Pare però siano stati posti dei paletti su future iniziative europee simili. Cosa ne pensa?

Credo che quanto avvenuto non vada sottovalutato per una serie di ragioni. Innanzitutto, abbiamo avuto la riprova che ogni decisione comunitaria resta esposta al rischio di un ricorso alla Corte costituzionale del maggiore Paese europeo. Questo crea un’asimmetria, un’incertezza strutturale. La decisione dei giudici di Karlsruhe, inoltre, ha messo dei paletti su una possibile istituzionalizzazione del Recovery fund, dando quindi già indicazioni in termini negativi su eventuali, future iniziative analoghe dell’Ue. Infine, la Corte conferma il fatto che tutte le decisioni in ambito di politica economica prese a livello europeo devono, di fatto, essere approvate dal legislatore tedesco, per meglio tutelarsi da eventuali riscorsi presso la medesima Corte. Ciò crea un’ulteriore asimmetria, fornendo ancora maggiore trazione all’influenza della Germania in Europa.

(Lorenzo Torrisi)

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