Negli ultimi quattro mesi, Rafah, situata al confine con l’Egitto, è diventata progressivamente un rifugio per la maggioranza degli abitanti della Striscia di Gaza in fuga dai bombardamenti. Più della metà della popolazione di Gaza, stimata in 2,3 milioni di persone dalle Nazioni Unite, si è concentrata in questa area, quintuplicando la sua popolazione rispetto al periodo prebellico. Alla vigilia di un’eventuale offensiva terrestre, Rafah attira l’attenzione generale, con un continuo flusso di sfollati provenienti da Khan Yunis e crescenti preoccupazioni tra i civili, ora privi di rifugi sicuri. Le tensioni si intensificano tra Israele e l’Egitto, così come con gli Stati Uniti, che esercitano pressioni su Tel Aviv per raggiungere un cessate il fuoco.



Il primo ministro israeliano Netanyahu ha annunciato il 7 febbraio l’obiettivo dell’offensiva contro Hamas, descrivendo Rafah come l’ultima roccaforte dell’organizzazione. Le dichiarazioni di Netanyahu si inseriscono in un contesto di crescenti pressioni internazionali affinché Israele modifichi le modalità di conduzione del conflitto. Nonostante l’avanzata su Khan Yunis, le vittorie militari sperate, come il ritrovamento di ostaggi o la cattura di leader di Hamas, non sono state conseguite, spingendo Israele a concentrare la sua attenzione su Rafah. La tensione si aggrava, con gli attacchi israeliani che hanno provocato vittime tra gli ostaggi e proteste a Gerusalemme per la lentezza nel negoziare la loro liberazione. L’avvertimento di Hamas tramite Al Aqsa Tv su possibili ripercussioni degli attacchi su Rafah nei negoziati evidenzia ulteriori complicazioni.



Sul fronte diplomatico, l’intervento del Segretario di Stato USA Antony Blinken il 7 febbraio ha sottolineato la possibilità di un cessate il fuoco e di un accordo per la liberazione degli ostaggi, seguito da incontri internazionali al Cairo per rilanciare le trattative. Queste mosse riflettono la preoccupazione per un possibile trasferimento forzato dei palestinesi verso l’Egitto e le conseguenze di un’offensiva su Rafah. Le dichiarazioni di Netanyahu e le pressioni dell’amministrazione Biden sottolineano il divario tra USA e Israele, con l’Egitto che minaccia di rivedere i termini del trattato di pace del 1979 in caso di escalation. La mobilitazione di forze egiziane nel Sinai evidenzia le preoccupazioni di sicurezza, mentre persistono dubbi sull’accoglienza dei rifugiati palestinesi da parte dell’Egitto, nonostante le pressioni internazionali.



L’Egitto si trova in una posizione particolarmente delicata di fronte alla crescente crisi a Rafah, con il timore che l’obiettivo dell’offensiva israeliana possa essere quello di spingere i palestinesi di Gaza a varcare la frontiera verso il Sinai. Questa eventualità solleva preoccupazioni significative per il Cairo, che potrebbe trovarsi a gestire un massiccio afflusso di rifugiati in un’area già sotto fortissimo stress. Le minacce dell’Egitto di sospendere il trattato di pace del 1979 con Israele, pilastro della stabilità regionale, riflettono la gravità delle conseguenze anticipate di tale offensiva. Tali azioni israeliane potrebbero portare alla chiusura dell’accesso principale per gli aiuti umanitari a Gaza, aggravando ulteriormente la situazione umanitaria.

Nelle ultime due settimane, l’Egitto ha risposto inviando rinforzi militari nel nord del Sinai, dimostrando la serietà delle sue preoccupazioni per la sicurezza lungo la frontiera. Nonostante le proteste ufficiali, alcuni osservatori suggeriscono che il Cairo potrebbe alla fine accettare di ospitare rifugiati palestinesi in cambio di aiuti finanziari internazionali e di un alleggerimento del debito, sebbene questa ipotesi rimanga incerta. La situazione riflette una complessa tessitura di tensioni geopolitiche, interessi nazionali e questioni umanitarie. L’Egitto, con la sua storica mediazione nei conflitti israelo-palestinesi e la sua posizione di leadership nel mondo arabo, si trova di fronte a una sfida significativa nel bilanciare la sicurezza nazionale, le pressioni internazionali e il sostegno alla causa palestinese. La decisione del Cairo di mantenere chiusa la frontiera, nonostante gli appelli per l’apertura, evidenzia la complessità delle decisioni politiche in un contesto di instabilità regionale e di solidarietà verso i palestinesi.

In sintesi, la situazione a Rafah si inserisce in un complesso scenario di tensioni regionali e internazionali, con gravi implicazioni umanitarie e politiche per la popolazione della Striscia di Gaza e le relazioni tra Israele, l’Egitto e la comunità internazionale.

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