Nicola De Felice è ammiraglio di divisione, comandante di cacciatorpediniere e fregate e ha svolto incarichi diplomatici, tecnici e strategici per gli Stati Maggiori di Difesa e Marina. E afferma che dai barconi in arrivo dall’Africa viaggia anche la droga prodotta nel continente. “Dalle informazioni in mio possesso posso dire che il traffico di migranti è molto intrecciato a quello della cocaina” racconta in un’intervista concessa a Libero Quotidiano.
“La droga viene trasportata soprattutto da scafi che definirei da “migranti di lusso”, cioè imbarcazioni con una capienza di circa 20 persone, in genere tunisini che pagano una cifra mediamente più alta rispetto ai subsahariani, vale a dire 9.000 dinari tunisini, equivalenti a circa 3.000 euro, a testa – illustra Nicola De Felice – Costoro trasportano con sé la cocaina che viene poi ceduta in mare a elementi della criminalità organizzata italiana, specie siciliana e calabrese”. Un mercato, quello della cocaina, che siamo abituati ad associare al Sud America: “i traffici di cocaina stanno cambiando. Se in precedenza questa droga veniva dal Sudamerica, ora la criminalità ha fatto acclimatare piante di coca ai tropici africani. Sorgono produzioni di cocaina in aree come Centrafrica, Nigeria o Guinea, non a caso paesi da cui viene un’altissima proporzione di migranti. Tuttavia, a portare la droga fin nelle mani delle mafie italiane sono soprattutto tunisini”.
Barconi e traffico di droga, De Felice: “giacimenti al confine fra Tunisia e Libia”
Traffico di droga, specie cocaina, dall’Africa attraverso i barconi, Nicola De Felice a Libero spiega che “la Tunisia è divenuta la tappa intermedia del traffico di coca che arriva dall’Africa Subsahariana verso l’Italia. Fra le maggiori aree di partenza c’è la costa di Sfax, mentre i “giacimenti” di droga immagazzinata, pronta all’imbarco, sono sul confine fra Tunisia e Libia, zona impervia dominata da milizie che sfuggono al controllo dei governi”.
Per porre un freno a questo traffico di droga tramite i barconi, Nicola De Felice invoca una maggiore “collaborazione fra le nostre due repubbliche, Italia e Tunisia. Occorre che la nostra Marina e la nostra Guardia Costiera possano effettuare pattugliamenti congiunti con le unità tunisine all’interno delle acque territoriali del paese nordafricano, ossia entro la fascia delle 12 miglia nautiche di distanza dalle coste. Così si impedirà fin dal principio che i barconi salpino”. L’ammiraglio si augura inoltre che “si creino in Tunisia, e in genere in Nordafrica, d’intesa coi governi locali, centri d’identificazione in cui si stabilisca chi è davvero un profugo di guerra, e quindi ha diritto d’asilo, e chi invece debba essere rispedito ai paesi d’origine”.