Giorni fa, parlando in una scuola di Napoli, se l’era presa con l’Università Federico II che aveva invitato il cantante Geolier per un dialogo con gli studenti. Per Nicola Gratteri, da pochi mesi procuratore capo della Procura partenopea, il rapper alla pummarola grande protagonista dell’ultimo Festival di Sanremo è un esempio da non seguire. E così pure il prestigioso ateneo: all’università si dovrebbero portare “solo eccellenze, modelli di vita per la formazione dei ragazzi. Queste cose lasciano senza parole, se molla l’università siamo alla fine”.



Ieri il procuratore ha alzato il tiro: dal tempio del sapere il mirino si è indirizzato verso il ministro guardasigilli, che guarda caso è una toga in pensione. Il pretesto è stato il provvedimento varato dal governo che dal 2026 introdurrà l’obbligo per i nuovi magistrati di sostenere un test psico-attitudinale nell’ambito del concorso di ammissione. Era un vecchio pallino di Silvio Berlusconi: estendere all’ordine giudiziario il trattamento già previsto per tutti gli altri vertici della burocrazia amministrativa in Italia. Quello che il Cavaliere non riuscì a realizzare è stato ora compiuto da Giorgia Meloni e Carlo Nordio.



Ma per i magistrati è un affronto, e Gratteri si è sentito investito dal compito di farsene portavoce. “Test psico-attitudinali per i magistrati? Allora anche per chi governa”, ha protestato il pm. “E aggiungiamo narco e alcol test. Se vogliamo farli per tutti i settori apicali della pubblica amministrazione sono favorevole, però facciamoli anche per chi ha responsabilità di governo e della cosa pubblica. Facciamo il narco-test, perché chi è sotto l’effetto di cocaina può fare ragionamenti alterati o prendere decisioni frutto di ricatti. E facciamo anche l’alcol test perché chi quel giorno è ubriaco può dire delle cose che possono condizionare l’opinione pubblica in modo negativo”.



Uno sfottò pesante, che dipinge i politici come cocainomani e ubriaconi in vena di vessazioni contro la categoria che li dovrebbe tenere a bada. Ma è una vecchia tattica, la stessa che i politici usano tante volte e che i magistrati non hanno mai smesso di rimproverare loro: rimandare la palla nel campo avversario. Una volta era il politico sotto accusa ad attaccare il magistrato, ora le parti sono invertite. Invece che guardare se in casa propria c’è da fare pulizia, si punta il dito contro la sporcizia del vicino. Vecchio trucco per buttarla in caciara.

Ma in questo caso c’è qualcosa in più. Il magistrato dovrebbe applicare le leggi, non mettersi a discuterle, un po’ come i carabinieri che sono “usi obbedir tacendo”. Con le sue dichiarazioni, invece, il neo-procuratore di Napoli si è allineato con le abitudini di tanti suoi colleghi da Mani Pulite in poi, quegli stessi colleghi da cui ha sempre cercato di tenere le distanze. Gratteri si è costruito una fama di inquirente che non bada alle chiacchiere, non guarda in faccia nessuno, indaga senza sosta, lavora senza troppi riguardi nemmeno per chi opera nei palazzi di giustizia. Adesso il registro è cambiato, anche l’Inflessibile è sceso nel ring ed è diventato l’ultimo dei magistrati che si mettono a fare politica. Niente che non si sia già visto da trent’anni in qua: ma almeno che si sappia.

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