Non è un caso purtroppo così isolato quello dei “neonati in astinenza”, nati da una mamma tossicodipendente che anche durante la gravidanza non smette di fumare o iniettarsi droga senza riuscire a smettere: la storia raccontata da Angela – una madre ex tossica – alla Repubblica fa parte di questa “scia” ma come sempre sono i dettagli, le sfumature e i racconti personali a far emergere un “caso” su tutti gli altri. «Leo mi ha dato la forza di uscire dalla tossicodipendenza. Ma il senso di colpa di averlo fatto nascere quando ancora mi drogavo, non mi abbandonerà mai. Era minuscolo e in crisi di astinenza. Con lui sono entrata in comunità e per tre anni ho lottato: volevo guarire, non volevo perderlo. Adesso viviamo da soli, si chiama percorso di “reinserimento”. Ogni giorno è una sfida, ma noi siamo qui, forti e testardi», questo è il racconto della donna 40enne con 20 anni di esperienze e dipendenze nel mondo della droga. Le ha provate praticamente tutte e non si è fermata neanche quando è rimasta incinta: cocaina, eroina, hashish, pasticche, praticamente quel figlio Leo (nome di fantasia, come del resto Angela) è nato come un tossico “consumato”, ma aveva praticamente due giorni di vita. Eppure è proprio grazie a quel bimbo che oggi c’è una speranza per lei e per la stessa piccola vita di Leo: «Sto imparando a volermi bene. A chiedere aiuto se ne ho bisogno. A gioire di una vita normale. Sono grata a chi mi ha permesso di guarire insieme a Leo. E a Leo per essere venuto al mondo».



LE CONFESSIONI DI UNA MAMMA EX TOSSICA

Ora il reinserimento, la possibilità di ricominciare una vita nuova con l’ansia però sempre presente di poterci magari ricascare: una fragilità che non consente “distrazioni” e che soprattutto necessita di una compagnia quotidiana che vada ben oltre alla pure necessaria cura medica-psichiatrica. «Ricordo di aver fumato cocaina fino a poche ore prima del parto. E Leo è nato in macchina, mentre suo padre mi portava di corsa all’ ospedale. Sano, per fortuna, anche se in astinenza, purtroppo», racconta Angela alla collega della Repubblica, con un compagno che voleva lei abortisse trovando invece in lei una ferma oppositrice, «lo volevo con tutte le mie forze, anche se il mio compagno mi chiedeva di abortire. Infatti dopo il parto ci ha abbandonati. Ma forse sentivo che Leo sarebbe stato la mia salvezza». A quel punto il “bivio” posto dai servizi sociali che si sono dimostrati una volta di più umani e seri fino a porle con nettezza la questione: o ti curi, o il bimbo finisce in affido. Da pochi mesi Angela ha terminato il suo percorso dentro “Casa mimosa”, comunità di recupero per mamme tossicodipendenti della “Fondazione Ceis” di Modena e racconta oggi quel calvario: «Stavo male, mi mancava la droga, ma soltanto vedere la sua culla nella nursery mi dava speranza. Ho odiato i servizi sociali in quel momento, ma oggi li ringrazio. Mi hanno fatto entrare in comunità, a “Casa mimosa”, dove ci sono tante ragazze come me con i loro figli. Lì è iniziata la mia rinascita». Il primo anno quello più duro, pur vivendo con il bimbo, quella donna odiava tutto e tutti e desiderava ancora la droga: «Odiavo tutti, tranne Leo. Ma sapevo che se avessi fallito l’avrei perso. E stavo imparando a fare la madre». Non è facile ora il “ritorno” alla vita normale e servirà una compagnia costante anche ben oltre a Leo: intanto però quel bimbo le dona speranza e un inizio di salvezza, «Io mi definisco una tossica che non usa sostanze. Combatterò sempre. Ma c’ è Leo: mi abbraccia, ride, vuole giocare, ridere. Mi chiede di esistere, non posso mollare. Se cado, Leo va in affido».

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