Bombardano Mosca. Chi? Gli ucraini, naturalmente. Forse. Qualcuno dice che sono i servizi segreti russi, qualcun altro che non era d’accordo con l’invasione dell’Ucraina comincia a preoccuparsi e a pensare alla difesa.

Come afferma un’amica moscovita che mi ha mandato le foto, pare che quasi ogni giorno un palazzo di Mosca, non di Belgorod, venga attaccato.



Ufficialmente di questo non si deve parlare. Da parte nostra perché bisogna continuare a sostenere che gli ucraini sono sempre buoni, da parte russa perché bisogna continuare a sostenere che i russi sono inattaccabili.

Per la verità, qualche volta è stata data la notizia di attacchi ucraini a Mosca, ma solo per dimostrare che erano stati respinti. Abbiamo ancora, credo, sotto gli occhi quelle immagini notturne del drone distrutto sopra il Cremlino, troppo spettacolari per non pensare che era tutto preordinato.



Comunque io di droni non me ne intendo. Di persone umane (e qualche volta anche un po’ disumane) me ne intendo di più e non voglio pensare che quello che sta accadendo oggi sia solo un’avvisaglia di quello che potrà accadere domani, in peggio. Purtroppo è inevitabile pensare ancora una volta di essere come quei passeggeri del Titanic che facevano festa sul ponte della nave, preoccupandosi al massimo di indossare un golfino per non prendere freddo.

Grazie a Dio il card. Parolin ci ha detto che comunque dobbiamo sperare, anche se le prospettive non sono rosee. Spero che la dichiarazione sia stata condivisa in precedenza col card. Zuppi, in procinto di provare a trattare con Mosca. Perché non si può andare là con lo stesso spirito rinunciatario con cui alcuni interisti sono andati alla finale di Istanbul.



Sperare sì, ma in che cosa? Che “andrà tutto bene”, come proclamavano alcuni al tempo del Covid? Che le cose, soprattutto dopo una guerra nucleare, non possono andare che in meglio è evidente. Ma perché le cose non possono andare meglio subito?

Guardando ieri sera i ragazzini dell’oratorio di ritorno dalla gita in miniera, entusiasti dell’esperienza, di questa e di altre simili dei giorni scorsi, ho sentito che nessun evento cattivo potrà cancellare dalla loro memoria, e dalla mia, quel bene che hanno provato.

Quando uno ha provato a vivere un vero bene, anche quando non ce l’ha più, una volta che ha finito di guardare al passato lamentandosi, non può che sentire lo stimolo per lottare con tutte le sue forze per costruire o ritrovare quel bene.

È quello che ho imparato dalle donne della colonia penale siberiana di Koksun.

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