Ha vinto lo staff dei comunicatori di Kamala Harris. L’hanno preparata a dovere per affrontare Donald Trump e lei ha seguito i loro consigli. Così, anche senza dire granché, ha dato un’immagine più sicura di sé, mettendo in risalto, invece, anche con la mimica facciale, le risposte sopra le righe del suo avversario. Nel dibattito TV tra i candidati alla Casa Bianca, Trump forse si è fidato troppo delle sue capacità, finendo per apparire più spento e meno presente di quanto ci si aspettasse.
Ora, osserva Marcello Foa, giornalista, docente universitario, già presidente Rai, conduttore di “Giù la maschera” su Rai Radio1, il tycoon dovrà cambiare marcia, scegliere su chi puntare per portare a casa i voti necessari a vincere negli Stati chiave, cosa che fino a questo momento non ha fatto. La campagna elettorale è ancora lunga, ma dall’altra sera la sua candidatura esce un po’ più offuscata, anche se la Harris non ha fatto niente di eccezionale. L’unica scusante, forse, è che i moderatori della ABC sono apparsi più benevoli con la candidata democratica.
Tutti dicono che ha vinto la Harris: è davvero così? O è stato Trump a perdere?
La Harris si è preparata tantissimo per questo dibattito, assistita da ottimi comunicatori e lavorando molto sui punti deboli. Trump è un grande comunicatore ma si è preparato molto meno, pensando di prevalere grazie alla sua capacità dialettica. La Harris è stata brava a non confermare l’impressione di scarsa brillantezza che aveva dato finora. Ha vinto grazie anche a un fattore in più: Trump, rispetto a otto anni fa, è chiaramente invecchiato, tende a ripetere sempre le stesse cose, mentre prima era capace di battute fulminanti. Questo dibattito ha proiettato una doppia immagine: Trump non è più quello di una volta, mentre Kamala Harris è riuscita a rimediare a quelle che erano le sue palesi lacune.
L’impressione che il candidato repubblicano senta la vecchiaia, secondo alcuni, è confermata anche dalla dialettica dei suoi comizi. Ha perso in smalto?
C’è un punto essenziale: Trump è stato vittima di un attentato di una gravità assoluta, che però è già stato cancellato dai media. Non hanno fatto una domanda su quello. Un altro aspetto che dimostra come la comunicazione possa fare la differenza. Lui ha sbagliato nel non rivendicare politicamente questo episodio. Ha un carattere molto forte, ascolta poco, e soprattutto non ha ascoltato i consiglieri che gli suggerivano di cercare un guizzo: ha solo continuato a ripetere “America great again” e che è migliore della Harris. Nel confronto con Biden ha detto: “Non ho capito Biden, probabilmente non si è capito nemmeno lui”. Una frase che ha mandato KO il suo avversario. In questa occasione, invece, non è riuscito a fare una battuta per mettere in difficoltà la Harris. Adesso o si mette in mano a qualche comunicatore che lo aiuti nel rush finale o rischia che la Harris vinca perché il pubblico moderato la vede più giovane, donna e tutto sommato affidabile. Trump potrebbe cercare di puntare sulla base rurale, pescando voti negli Stati centrali, ma ha bisogno di una spinta propulsiva che non riesce a imprimere.
Trump è famoso per le sue battute fulminanti, ma quella sugli immigrati di Haiti che a Springfield mangiano i gatti sembrava davvero fuori luogo. Perché l’ha fatta?
Era un argomento per il pubblico più semplice, televisivo, una storia rimbalzata su alcuni media o social: vera o falsa che fosse, voleva toccare la pancia di un certo elettorato. Negli USA mediamente la partecipazione alle urne è del 58%, se togliamo il 25% di persone che sono dichiaratamente repubblicane e il 25% di quelle democratiche, l’elettorato non schierato è l’8-10%. Vince chi riesce a mobilitare le minoranze o ad accaparrarsi l’elettorato centrista: Trump non ha ancora individuato il target elettorale che gli permetta di fare la differenza. Con battute come quelle esibite nel dibattito, se punti all’elettorato centrista non sei convincente. Se punti, invece, su altre minoranze al di fuori del tuo bacino, devi trovare un tema specifico: Bush vinse due elezioni mobilitando gli evangelici.
In cosa si è visto che la Harris ha preparato bene il dibattito?
Lei non è una buona oratrice. Non è stata strepitosa come lo era Obama, ma è riuscita ad apparire competente ed equilibrata. Sono servite anche le facce che faceva quando Trump parlava: il pubblico sente queste cose. Trump aveva una faccia immobile, ogni tanto faceva un sorrisetto di scherno, ma non contrastava con la sua mimica quello che diceva la sua avversaria. Harris è stata ben istruita sui temi da toccare, ha fatto un appello alla riconciliazione nazionale, mentre Trump è partito all’attacco su tutto. La Harris ha corretto i suoi difetti e Trump non è riuscito a dare la zampata del leone.
Adesso cosa succede?
Trump deve individuare un tema molto forte. Potrebbe dire alla Harris: “Se sei così brava, perché certe cose non le hai fatte? Sei stata vicepresidente per quattro anni”. Ma deve costruirci una narrazione intorno. Ho l’impressione, tuttavia, che non ascolti nessuno. Prima ascoltava Steve Bannon, che oggi è nei guai. Corre il rischio di navigare sempre nello stesso stagno. Ma così rischia di perdere. C’è comunque un aspetto importante da sottolineare: era evidente che i moderatori dell’ABC parteggiassero per la Harris, e questo non ha agevolato Trump.
(Paolo Rossetti)
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