Harris cercherà di innervosire Trump per indurlo a dichiarazioni sopra le righe, il candidato repubblicano punterà su tutto quello che la vicepresidente non ha fatto, ricordando i giudizi poco lusinghieri su di lei prima della candidatura. Di certo, il dibattito tv di martedì sera, 10 settembre, su ABC potrebbe cambiare gli equilibri nella corsa alla presidenza degli USA.



Per Kamala Harris si tratterà di una sorta di prova del nove, visto che finora si è sottoposta a una sola intervista, registrata, su una rete amica: sta provando e riprovando la sua parte in vista del faccia a faccia, dove cercherà di mettere in crisi Trump mettendo sul tavolo un tema da sempre ostico per lui, quello del diritto all’aborto, mentre il suo avversario molto probabilmente punterà più sull’improvvisazione, cercando di portare il confronto sui temi dell’economia e dell’immigrazione.



Sarà comunque una battaglia all’ultimo voto, spiega Rita Lofano, direttore responsabile dell’AGI, che si giocherà sugli indecisi e sugli Stati in bilico. Al di là dei sondaggi, gli allibratori, però, danno Trump vincente, anche se di poco.

Il dibattito tv sarà veramente decisivo? Che tipo di confronto dobbiamo aspettarci?

Sarà uno snodo cruciale, la prova del nove per Kamala Harris. Ha rilasciato un’intervista a Dana Bash della CNN, su un’emittente amica, e l’ha pure registrata. In una campagna elettorale come questa, parlare solo con testate amiche e neanche in diretta non è un grande segnale. Qualcuno ha detto che è una candidata sotto vigilanza. Il dibattito sarà la sua prima prova a ruota libera. Penso che, salvo sorprese a ottobre, il debate deciderà le elezioni. Harris continua a raccogliere fondi e a essere in vantaggio nei sondaggi nazionali, ma negli Stati in bilico è testa a testa. Il dibattito sarà uno spartiacque.



Come si stanno preparando i candidati?

Kamala fa le prove sul palco e ha studiato nei dettagli il suo discorso. Hillary Clinton ha rivelato che cercherà di innervosire Trump, perché se lo tocchi su questioni su cui si sente scoperto, rischia di fare dichiarazioni inaccettabili, un po’ misogine. La Clinton si ricorda del dibattito con lui nel 2016, quando lo definì un pupazzo di Putin. Trump cercò di metterla in soggezione, guardandola dall’alto in basso: rispetto ad allora un po’ di verve l’ha persa, resta però un abile comunicatore, non dimentichiamo quello che ha fatto in occasione dell’attentato.

Trump cosa cercherà di fare?

Si affiderà all’improvvisazione, anche se ultimamente è stato un po’ troppo prolisso nei suoi comizi. Stanno cercando di ricordargli di puntare sui suoi cavalli di battaglia: l’economia, l’andamento della borsa. A lui, comunque, la Harris non piace. Trump attaccava la Clinton ma la apprezzava, mentre la Harris non la stima proprio. E infatti gli sono scappate una serie di affermazioni fuori luogo su di lei. La forza di Kamala, invece, sono le donne e i diritti. Sono appena usciti spot elettorali incentrati sull’aborto, si gioca tutto su quello.

Dunque il punto debole di Trump potrebbe essere quello dei diritti, mentre quello della Harris potrebbe essere l’economia?

Credo che la Harris punterà a far sragionare Trump, che ne è consapevole. Così come sa, Trump, che ha di fronte una donna molto più giovane di lui, dall’aspetto gradevole. E anche questo conta. La attaccherà per quello che non ha fatto: oggi c’è grande entusiasmo per lei ma prima era considerata una vicepresidente fallimentare.

L’ex vicepresidente di Bush, Dick Cheney, voterà per la Harris: c’è una parte dei repubblicani che sfugge alle direttive del partito?

I repubblicani che si sono espressi contro Trump erano contro di lui anche nel 2016. Pure i Bush avevano detto che non lo avrebbero appoggiato. Lui però ha mantenuto il controllo del GOP nonostante le inchieste e l’assalto al Congresso. Dobbiamo chiederci perché. C’è una parte di insofferenti nel partito, ma sanno che senza di lui non vanno da nessuna parte. Anche Mike Pence, il suo ex vicepresidente, che lo aveva avversato, è scomparso. E così è successo per altri. In realtà, Trump ha il controllo del partito.

La Harris invece rischia di non avere i voti della fronda interna pro Palestina?

Il partito si è ricompattato attorno a lei in modo sorprendente. Si gioca tutto sugli indecisi. La domanda che dobbiamo farci, insomma, è: “Farà più presa la Harris, secondo la quale sono a rischio i diritti delle donne, o Trump che annuncia di chiudere le frontiere e bloccare l’ingresso dei migranti?”. I temi sono da una parte migranti ed economia e dall’altra i diritti.

Un sondaggio di Redfield & Wilton Strategies con The Telegraph, riportato da Newsweek, dà la Harris vincente in tre Stati indecisi (Pennsylvania, Wisconsin, Michigan) e Trump in altri quattro. Si parla di oltre 130 milioni di dollari spesi da Trump in Pennsylvania e 150 da parte di Harris. Quanto conta la disponibilità economica in questo momento e perché questa battaglia per la Pennsylvania più che per gli altri Stati?

La Pennsylvania è uno Stato in bilico cruciale, ha una valenza storica come Stato, vi è stata firmata la Costituzione. I comizi conclusivi si fanno quasi sempre lì. Sarà una lotta all’ultimo voto e chiunque vinca non credo che avrà un grande margine di vantaggio. Se dovesse prevalere la Harris, che ora è data in vantaggio, sarà per un pugno di consensi, per pochi grandi elettori. I soldi contano da due punti di vista: senza non si va da nessuna parte, tant’è che quando i donatori cominciano a ritirarsi, significa che la corsa è finita. Inoltre rappresentano un termometro importante: più ne raccogli e più la gente scommette su di te.

Ma i sondaggi sono veramente tutti così sbilanciati per la Harris?

Se qualcuno vuole scommettere sulla vittoria dell’una o dell’altro, viene dato in vantaggio Trump. È un gioco, però anche questo è un indicatore. Se uno ci deve mettere dei soldi, deve cercare anche di essere più accorto.

Quindi, se vado da un allibratore a scommettere, in questo momento il candidato repubblicano viene dato vincente?

Sì, di poco, ma viene dato vincente Trump, questo anche se, appunto, la Harris è avanti a livello nazionale: la battaglia si gioca sugli indecisi e sugli Stati in bilico.

Trump intanto sembra aver fatto la pace con i giudici. È in atto una tregua giudiziaria che lo avvantaggia?

Dopo la sentenza della Corte Suprema che ha riconosciuto l’immunità parziale agli ex presidenti, continua ad avere vittorie legali: l’entità della pena nel processo Stormy Daniels si saprà solamente dopo le elezioni, non è cosa da poco.

(Paolo Rossetti)

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