A ventiquattro ore dall’unico dibattito presidenziale di questa campagna tra la candidata dem, l’attuale vicepresidente Kamala Harris, e il candidato repubblicano, l’ex presidente Donald Trump, è forse il momento, se non di tirare delle conclusioni, di ragionare a mente più fredda su quanto accaduto nella notte tra martedì e mercoledì, anche lasciando da parte certi titoli trionfalistici apparsi su alcuni giornali italiani e probabilmente preparati il giorno precedente.
Sembra passata un’era dal dibattito di meno di due mesi fa tra il tycoon e il presidente in carica Biden. Uno smacco che portò al ritiro della candidatura del vecchio Joe. Oggi sembra che per alcuni aspetti le parti si siano invertite: i 78 anni di Trump pesano indubbiamente rispetto ai 59 della Harris. Il tycoon è apparso irrigidito e in alcuni tratti nervoso, piuttosto ripetitivo su alcuni concetti e meno a suo agio di altre volte sul palco; ha evitato gaffe e volgarità, ma, forse proprio per prudenza, alcuni suoi attacchi sono risultati scontati. La Harris ha indubbiamente passato il test per lei più importante, apparendo seria e presidenziale, tonica negli attacchi all’avversario e sorridente verso il pubblico; è riuscita a respingere molti degli attacchi dell’ex presidente e ad apparire rassicurante per il pubblico.
Andando ad analizzare però i contenuti del dibattito non sembra che la Harris abbia conquistato una vittoria schiacciante. Indubbiamente ha giocato bene le proprie carte su alcuni temi, portando a casa dei punti importanti. Il primo è quello dell’accesso all’aborto, dove ha sottolineato come è sua intenzione “restituire piena libertà di scelta alle donne americane” e che il “governo, e di sicuro Donald Trump, non deve mai dire ad una donna cosa fare”, accusando Trump e i repubblicani di voler abolire l’accesso all’aborto. Il secondo attacco andato a segno è quello sul fatto che Trump non avesse accettato la sconfitta alle scorse elezioni e avesse sostenuto e difeso gli attacchi violenti di alcuni manifestanti; è riuscita a dipingere l’avversario come un antidemocratico e un estremista, che ha allontanato dal partito molti autorevoli esponenti repubblicani. Ha poi insistito sul fatto che l’ex presidente sia stato incriminato e condannato e che gli americani siano stanchi della sua retorica e delle sue bugie. Nella sua dichiarazione finale ha definito la sua visione di America come aperta al futuro, una visione che può ispirare il popolo americano, con una nuova “economia delle opportunità”.
Sulle domande economiche, da sempre uno dei temi chiave per vincere le elezioni, è un sostanziale pareggio: significativi senza dubbio gli attacchi di Trump sull’inflazione galoppante, che non sta permettendo agli americani di godere dei successi economici vantati dalla Harris e dall’attuale amministrazione, e sulla politica dei dazi, introdotta da lui in chiave anticinese e proseguita dall’attuale amministrazione. La Harris ha illustrato, in maniera a dire il vero piuttosto vaga, i suoi piani per il sostegno alla popolazione colpita dall’inflazione, che prevedono sostegni economici all’acquisto della prima casa e crediti fiscali per famiglie a reddito medio, a fronte di un incremento delle imposte per i più ricchi.
Trump segna comunque alcuni punti, il più significativo dei quali è alla fine, quando ricorda a Kamala Harris che è da tre anni e mezzo vicepresidente e che ha quindi avuto tutto il tempo di realizzare le promesse che sta facendo durante il dibattito: l’ha addirittura inviata, concluso il dibattito, a prendere un aereo, andare a Washington, “svegliare Joe Biden” e mettersi subito al lavoro.
Il secondo punto per Trump è la politica estera, con l’attacco alla Harris per come l’amministrazione Biden ha gestito il ritiro dall’Afganistan, definito come “uno dei momenti più imbarazzanti” e ha sottolineato come “non ci sarebbe stata la crisi ucraina se voi non fosse scappati da Kabul”. L’ex presidente ha ribadito che “la guerra in Ucraina non sarebbe iniziata con me presidente” e ha promesso di sfruttare i suoi buoni rapporti con Putin e Zelensky per porre fine alla guerra.
L’ultimo punto, che avrebbe potuto portare a Trump un vantaggio enorme ma che l’ex presidente non è riuscito a gestire adeguatamente, è quello sull’immigrazione: il tycoon ha dipinto un’America vittima di grandi ondate migratorie, tollerate se non cercate dalla sinistra, raccontando di una crescente violenza nelle strade americane e venendo, in violazione delle regole del dibattito concordate, anche contestato da uno dei moderatori sulla sua affermazione che in Ohio un gruppo di immigrati haitiani abbia cacciato e mangiato gli animali domestici delle famiglie. Ha attaccato la Harris per alcune esternazioni a favore dei movimenti estremisti come “defund the police” ma lei si è difesa bene ricordando i suoi trascorsi da procuratrice inflessibile nella lotta alla criminalità e riportando dati dell’FBI che raccontano di una situazione sulla sicurezza non allarmante.
In queste ore, entrambe le campagne elettorali sono al lavoro sui social network, rilanciando gli spezzoni migliori e peggiori dei due candidati, ricercando commenti e fact checking a proprio favore o contro l’avversario e usando meme e ironia a proprio vantaggio. Proprio in questo “secondo dibattito” la campagna elettorale di Trump si è spesso mostrata più abile di quella della Harris nella comunicazione social. Vedremo dai sondaggi che verranno effettuati in questi giorni e pubblicati nelle prossime settimane se questo dibattito ha cambiato qualcosa nel testa a testa per la poltrona più ambita d’America.
A parere di chi scrive, Trump comunque non perderà voti, ha evitato errori pur senza portare particolari novità, galvanizzando comunque il proprio elettorato sui temi a questi più cari. Forse la Harris, che dopo la fiammata post convention è sembrata in calo, potrà guadagnare qualche mezzo punto nei prossimi sondaggi, soprattutto tra i moderati e gli indecisi. Le elezioni sono comunque tra quasi due mesi, e, notoriamente, gli indecisi rimangono tali fino a poco prima del voto. Queste sono elezioni decise in pochi Stati e da poche decine di migliaia di voti e prevedere l’effetto del dibattito sul minatore della Pennsylvania, sull’insegnante della Virginia o sul contadino del Nevada è oggi quasi impossibile.
Tutto può ancora succedere.
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