Alla fine Claudio Durigon ha deciso di lasciare il suo ruolo da sottosegretario al Ministero dell’Economia: lo storico militante della Lega, tra i passati responsabili del sindacato Ugl, si è dimesso ieri sera dopo il “caso Mussolini”, ovvero il parco di Latina intitolato alla memoria del fratello del Duce (Arnaldo Mussolini, ndr). Dopo settimane di polemiche, di richieste di dimissioni partorire dal Centrosinistra e di ultimi giorni in cui anche i due leader della Lega Salvini e Giorgetti avevano lasciato intendere che l’opzione migliore fosse un passo indietro dello stesso Durigon per il bene del Governo, dell’ormai ex sottosegretario e dello stesso Carroccio.



«Per uscire da una polemica che sta portando a calpestare tutti i valori in cui credo, a svilire e denigrare la mia memoria affettiva, a snaturare il ricordo di ciò che fecero i miei familiari proprio secondo quello spirito di comunità di cui oggi si avverte un rinnovato bisogno, ho deciso di dimettermi dal mio incarico di Governo che ho sempre svolto con massimo impegno, orgoglio e serietà», ha annunciato in una lettera aperta, oggi pubblicata su “Libero”, Claudio Durigon. Il caso, come noto, è la proposta dell’ex sottosegretario ammette intitolare nuovamente il parco comunale di Latina (sua città natale, ndr) ad Arnaldo Mussolini, dato che dal 2017 l’antica intitolazione era stata modificata in favore dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Durigon nella lettera ammette l’errore e ribadisce, «è chiaro che, nella mia proposta toponomastica sul parco comunale di Latina, pur in assoluta buona fede, ho commesso degli errori. Di questo mi dispiaccio e, pronto a pagarne il prezzo, soprattutto mi scuso. Mi dispiace che mi sia stata attribuita un’identità ‘fascista’, nella quale non mi riconosco in alcun modo». Durigon si dichiara non solo anti-fascista ma in generale contro ogni dittatura e ideologia totalitaria di destra e di sinistra, «sono cresciuto in una famiglia che aveva come bussola i valori cristiani». Alla fine, ha scelto di fare un passo di lato affinché «per evitare che la sinistra continui a occuparsi del passato che non torna, invece di costruire il futuro che ci aspetta. Io continuo, anche senza il ruolo di sottosegretario, a lavorare per difendere Quota 100 e impedire il ritorno alla legge Fornero, e a ottenere saldo e stralcio, rottamazione e rateizzazione per i 60 milioni di cartelle esattoriali che rischiano di partire da settembre, massacrando famiglie e imprese».



LASCIA DURIGON, LA LEGA TORNA ALL’ATTACCO DI LAMORGESE

Alla lettera di Durigon replica immediatamente il leader della Lega, Matteo Salvini, il quale dichiara «Ringrazio Claudio non solo come politico ma soprattutto come uomo, amico, persona onesta, concreta, schietta e coraggiosa, che a differenza di altri lascia la poltrona per amore dell’Italia e della Lega, e per non rallentare il lavoro del governo, messo irresponsabilmente in difficoltà per colpa di polemiche quotidiane e strumentali da parte della sinistra». In particolare, Salvini torna utilizza il “caso Durigon” per lanciare un altro segnale al Governo, direzione Viminale (dopo le polemiche su immigrazione, Green Pass e rave di Viterbo): «Contiamo che questo gesto di responsabilità e generosità induca a seria riflessione altri politici, al governo e non solo, che non si stanno dimostrando all’altezza del loro ruolo».



Alla fine ha pesato il momento di assoluta complessità all’interno del Governo, con il Premier Draghi impegnato in un delicatissimo ruolo di leader G20 durante la crisi in Afghanistan e, in politica interna, concentrato sulla scrittura della Manovra e sul proseguimento del PNRR. Come rivelato da un retroscena su Dagospia, nell’incontro tra Salvini e Draghi il Presidente del Consiglio avrebbe chiesto al leader leghista di far fare un passo indietro a Durigon per evitare di arrivare allo scontro interno nell’esecutivo in un momento in cui l’Italia non può certo permetterselo. Palazzo Chigi ha smentito, di rito, lo “scoop” ma le parole dette poi da Giorgetti al Meeting di Rimini suggeriscono che quantomeno qualcosa di vero ci sia stato in quello “spiffero” tra Draghi e Salvini: «Un membro del Governo si dimette o perché lo chiede il presidente del Consiglio che lo ha nominato, o perché lo chiede il suo partito, o perché glielo suggerisce la sua coscienza. Quando si hanno responsabilità di governo, occorre stare sempre attenti quando si parla…», ha detto il n.2 della Lega da Rimini due giorni fa.