L’arresto a Parigi di Pavel Durov, che tra le sue diverse attività creò nel 2013 il sistema di messaggistica Telegram, è forse l’inizio di un nuovo “caso Assange” e comunque avvierà un nuovo dibattito sulla libertà di comunicazione.
Ancora una volta si scontrano due necessità: da una parte, appunto, la libertà di informazione e di comunicazione personale (che è un fondamento dei diritti umani ed è sancita dalle costituzioni democratiche) e dall’altra l’abuso che si può fare di questa riservatezza.
Controllare i propri cittadini “a fin di bene” (ma poi di fatto condizionarli e spiarli) è d’altronde, da sempre, la spesso taciuta volontà di ogni autorità. Il confine tra queste due opposte situazioni è spesso una linea sottile, incerta, non codificata, viste anche le quotidiane novità informatiche.
La notizia dell’arresto di Durov lascia comunque perplessi, soprattutto se – come sembra – le autorità francesi vorranno estendere personalmente a lui le responsabilità di tutti i crimini che possono essere stati commessi utilizzando questo canale criptato di comunicazioni, una tesi che appare un po’ forzata, quasi che un uso criminale del telefono possa essere imputato a Meucci o a Bell, oppure a Marconi se fosse una comunicazione radio.
Certamente Telegram può dare fastidio – e molto – a tutti i regimi per i quali può risultare una minaccia. Non è un segreto che quelli autoritari lo vedano con preoccupazione, e d’altronde proprio Durov è stato un fiero oppositore di Putin, con le autorità russe che sembra non riescano ancora ad intercettare, per esempio, le comunicazioni fra dissidenti. Lo stesso avviene in molte altre nazioni, dove tutte le comunicazioni sono soggette a censura.
Durov è quindi un eroe o un criminale? Sicuramente se ne parlerà a lungo e proprio per questo ci sono molte similitudini con il caso Assange, colpevole di aver diffuso in nome della libertà di espressione dati e segreti militari USA dai quali la Casa Bianca (e i loro alleati) ne uscivano con una pessima immagine, ma che in fondo erano appunto scottanti “verità” che per questo non si volevano diffondere.
Pavel Durov ha anche avuto un’infanzia italiana, vivendo alcuni anni a Torino con una madre francese ed un padre russo. Proprio in Russia nel 2013 creò Telegram con l’obiettivo di poter dare ai russi – ma anche al resto del mondo – una piattaforma dove le comunicazioni potessero essere sicure e soprattutto private, tanto che il sistema Telegram è stata la prima app a sfruttare la crittografia end-to-end.
Oggi i suoi data center sono sparsi in tutto il mondo, con sede centrale a Dubai.
Il sistema è simile a quello di WhatsApp (che ne ha in parte copiata l’impostazione) con circa 900 milioni di persone collegate, mentre WhatsApp pare sia seguita da quasi 3 miliardi di terrestri, ma Telegram risulta più sicuro e quindi anche potenzialmente usato a fini illeciti.
Da qui a considerare Durov colpevole di questi abusi, però, ce ne passa e quindi bisognerà conoscere meglio le imputazioni che la giustizia francese solleverà contro di lui. Arrestato subito dopo l’arrivo a Parigi con il suo velivolo personale, gode di un patrimonio che Forbes stima essere intorno ai 15,5 miliardi di dollari.
La libertà di espressione, che Telegram promette sulla sua piattaforma, viene in particolare sfruttata in quei Paesi dove le comunicazioni sono controllate da governi autoritari. Per esempio nella sua stessa Russia, dove dallo scoppio del conflitto in Ucraina è diventata l’unica via attraverso cui far passare notizie diverse da quelle approvate dai canali ufficiali. In Russia, tra l’altro, Telegram è stata bloccata nel 2018, dopo che Durov si era rifiutato di fornire al governo le chiavi di crittografia per poter accedere alle conversazioni degli utenti, ma tali furono le proteste che dopo un anno l’app è tornata disponibile.
Se è vero che in tante parti del mondo Telegram è un valido aiuto per poter lottare per i propri diritti, è altrettanto vero che sul social si trova di tutto e che viene probabilmente usata anche per coprire traffico di droga, pedopornografia, pirateria, ricatti e forse anche terrorismo. Proprio per questo, per il suo netto rifiuto a porre un qualsiasi tipo di moderazione e di voler rimanere una “piattaforma neutrale” senza nessun “ruolo geopolitico”, Durov viene oggi inquisito.
Quali conseguenze si avranno ora su Telegram con l’arresto del suo fondatore e quali ripercussioni ci saranno sugli altri canali di libera informazione? Lo vedremo, intanto si è ovviamente subito schierato con Durov proprio Elon Musk, sottolineando come le autorità europee sembrano essere progressivamente – e non da oggi – responsabili di un controllo informativo sempre più repressivo.
Suggestivo comunque che l’arresto di Durov sia avvenuto proprio a Parigi, in quella Francia già paladina della “Liberté”.
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