Pavel Durov era nel mirino dei governi occidentali, e in particolare di quello francese, ormai da tempo, fin da quando Telegram veniva usato come canale anche dall’Isis. E quello che gli è successo è solo apparentemente frutto dell’applicazione delle nuove norme DSA volute dall’UE, secondo le quali i social devono garantire di moderare i contenuti. Durov, spiega Francesco De Remigis, giornalista per anni corrispondente da Parigi, era attenzionato anche dall’FBI. Ora che è stato messo in libertà condizionata, probabilmente deve capire se venire a patti con i governi e quei poteri che ambiscono a godere dei suoi servigi: una decisione che comporterebbe molti cambiamenti nella sua creatura. Ma, si sa, i dati, le informazioni, oggi hanno più valore del petrolio: servono per far funzionare il motore del mondo.
Macron dice che l’arresto di Durov non è un atto politico: vista la portata che hanno i social e il tipo di notizie riportate su Telegram, è proprio così?
Se sull’arresto ci sono ancora elementi oscuri, quel che è certo è che, per Macron, Durov rappresenta da tempo un personaggio che un valore politico indubbiamente ce l’ha. Prima ancora che scoppiasse la guerra con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, con il ricorso anche da parte dell’esercito ai canali Telegram oltre che dei propagandisti russi, l’app di messaggeria criptata era già diventata la preferita dagli adepti dell’Isis. Dunque, ancor prima dell’inchiesta che ha fatto scattare l’arresto a Parigi, la giustizia francese già guardava all’enigma Durov e al suo ruolo di mancato controllo dei contenuti dell’app, sin dagli attentati islamisti del 2015 a Parigi, in parte organizzati proprio tramite Telegram.
Però la Francia inizialmente non si è comportata in modo ostile a Durov.
Macron lo avrebbe incontrato per la prima volta nel 2018, su suo invito, proprio in Francia, dove Durov ha beneficiato, peraltro, di una pratica di naturalizzazione estremamente rara, chiaramente politica, quella dello “straniero emerito”. Insomma, con Parigi e con l’Eliseo i contatti erano innegabili. Per far cosa, è da chiarire, a parte il tentativo di Macron di far trasferire la “residenza” di Telegram in Francia. Da Dubai a Parigi in cambio di un passaporto francese e magari di una serie di informazioni? Non possiamo dirlo con certezza assoluta.
Il fondatore di Telegram ora è in libertà condizionata: è ancora comunque in una condizione ricattabile per cui la sua posizione potrebbe dipendere dalla disponibilità o meno della sua società ad accordi con altre autorità oltre a quella giudiziaria?
Più che ricattabile, mi pare abbia mostrato indizi di malleabilità, dopo aver assicurato, dopo i primi abboccamenti di Macron, di voler impedire a qualsiasi governo di controllare Telegram. Ora potrebbe essere pronto a trattare, anche solo parzialmente, forme di collaborazione. Bisogna capire però fino a che punto sia pronto a cambiare pelle alla sua creatura, e anche ai suoi princìpi, per così dire.
Cosa sarebbe costretto a cambiare in questa eventualità?
L’app Telegram è nata per assecondare un mantra libertario, ora Durov è con le spalle al muro, a un bivio tra pragmatismo, realpolitik e vile denaro. Telegram genera infatti milioni di dollari di entrate tramite spazi pubblicitari, commissioni sui pagamenti in criptovaluta e abbonamenti. Lo spiegava lui stesso mesi fa al FT, insistendo sulla monetizzazione del pubblico. E visto che fino all’arresto si parlava perfino di una quotazione a Wall Street, ora dovrà decidere lui come gestire questa fase. Se concedere qualcosa, aprendo a una collaborazione come fa Whatsapp, o affrontare un processo dagli esiti indecifrabili.
Telegram è accusato di essere veicolo di informazioni relative alla pedopornografia, alla droga, di aver favorito attività criminali. Eppure, appunto, il presidente francese nel 2018 avrebbe chiesto a Durov di spostare la sede del social a Parigi: il rifiuto potrebbe aver influito sulla decisione di arrestarlo?
Ci dev’essere stato un cortocircuito nel dialogo, un imprevisto, considerando che personaggi come Durov non sono stati avvicinati solo da apparati francesi. Il volume di informazioni su Telegram fa gola a tutti i governi. Ma una cosa è trasferire la sede a Parigi, aprendo a forme di collaborazione giudiziaria col contagocce. Altro è fornire i codici di accesso. L’accusa di complicità in alcuni reati, sostenuta dalla Francia, fa il pari con l’interrogativo sollevato da chi stigmatizza l’arresto; vediamo infatti che la Russia sta già usando il caso per rimproverare all’Occidente di aver ingabbiato Durov, quando lo stesso Occidente critica Mosca per la censura. Insomma, l’arresto deve produrre qualcosa per dare ragione a Parigi.
Si tratta di un’operazione autonoma della Francia o, per la sua portata, possono essere coinvolti anche altri Paesi occidentali, gli USA per esempio?
Che Durov fosse attenzionato anche dall’FBI, e non da poco tempo, non è un mistero. I dati fanno gola a tutti i governi. Su questo dobbiamo essere chiari. Come facevano comodo i nomi dei dissidenti alla Russia, quando lui si rifiutò di fornirli. Operazioni e rapporti, ora come allora, gestiti da Durov, sono però volutamente in un chiaroscuro. Il che suggerisce cautela nelle analisi, nei giudizi e nelle previsioni. Ma è chiaro che in campo oggi c’è uno scontro tra governi e quelle che possiamo definire monarchie digitali. Quando una piattaforma dispone di informazioni che hanno la possibilità di influenzare l’ordine mondiale, o quantomeno gli umori di una società, soprattutto l’Occidente si allarma. Si attiva per regolamentare, correndo anche dei rischi. Quello della iper-sorveglianza in primis.
Telegram è il sito che più di ogni altro riporta contenuti che i media mainstream non pubblicano sulla guerra in Ucraina. Potrebbe essere questo il motivo dell’arresto di Durov? La violazione del DSA è solo il grimaldello dell’operazione?
La violazione del DSA non c’entra quasi nulla con l’arresto a Parigi. L’inchiesta è partita come nazionale, francese. Lo ha detto chiaramente anche l’UE. Poi la faccenda europea era già stata aperta, e le cose vanno via via convergendo. Ma non c’è inchiesta giudiziaria in Europa della portata di quella francese. La Commissione invece chiede da tempo conto a Durov del numero di iscritti a Telegram, perché le piattaforme con più di 45 milioni di utenti, come Instagram e TikTok, nell’UE sono soggette alla DSA, la regolamentazione dei servizi digitali, mentre Telegram ne dichiara circa 42 milioni nel Vecchio Continente e non dà possibilità di verifica. Questa è la massima arma dell’UE, per ora, per cercare di superare il muro di gomma di Telegram.
Ma Parigi allora perché ha agito?
Parigi invece non è andata per il sottile, e dopo anni di tentate intese ha fatto un blitz, vogliamo dire forzando il diritto? Forse possiamo. Dentro una logica. È stato arrestato con un mandato di cattura. E gli è stata concessa la scarcerazione per vedere se mantiene la parola, anzitutto restando sul territorio. Poi si vedrà. Sta a lui scegliere che strada prendere. I codici sono ancora bloccati, la chiave ce l’ha lui. Come pure i dati. E l’arresto non prevede l’accesso ai dati.
(Paolo Rossetti)
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