Sono 40 anni domani, 13 maggio, che il Cardinal Stanislao Dziwisz non può cancellare quegli attimi scolpiti nella propria mente e vita: i due spari con cui Ali Agca tentò di uccidere San Giovanni Paolo II nel famoso attentato in Piazza San Pietro del 1981 sono ancora fermi lì nell’immaginario comune, con quella “Mano Materna” che dall’altro avrebbe poi guidato gli stessi proiettili lontani dagli organi vitali nel giorno della Madonna di Fatima. «In quel momento pensai solo a salvarlo», racconta il cardinale ex segretario personale (e oggi vescovo emerito di Cracovia) nell’intervista a Repubblica ai 40 anni dall’attentato: «Ero dietro di lui sulla papamobile» (come si vede bene dalla foto in Piazza, ndr) «quando sentii i due colpi provenienti dalla folla pochi attimi dopo aver benedetto e baciato una bambina».



Nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo, ricorda ancora un commosso Dziwisz, «vidi subito che si sta lasciando andare, privo di forze, ma con le mani strette sulla pancia e una improvvisa smorfia di dolore. Senza perdere mai i sensi indicava il punto in cui era stato ferito, sulla veste bianca macchiata di rosso». Il dolore per vedere l’amico Pontefice vicino alla morte, ma anche il dolore nel non comprendere perché si voleva uccidere quel grande Santo della Chiesa mondiale: «in quegli attimi convulsi ho pensato soltanto a non farlo cadere a terra», racconta ancora il cardinale polacco, «il Papa era morente. Soffriva tanto, pur restando sempre lucido. Ma non mi sono scoraggiato, ho pregato e ho pensato solamente a salvarlo».



SAN GIOVANNI PAOLO II, L’ATTENTATO E L’ABBRACCIO

Il resto poi, ammette candidamente il Cardinal Dziwisz, «lo hanno fatto i medici con l’aiuto della Madonna»: l’attentato a Papa Wojtyla ha segnato la storia dell’umanità e non solo della Chiesa cattolica, con ripercussioni e misteri rimasti intatti ancora fino ad oggi. Il prelato racconta nella confusione di quegli attimi di aver visto di sfuggita un giovane che si divincola tra la folla per provare a scappare: era Ali Agca, perdonato poi pochi anni dopo dallo stesso San Giovanni Paolo II nel breve ma intenso incontro in carcere a Rebibbia. Dziwisz racconta che in quegli attimi dopo gli spari in Piazza San Pietro il Papa era cosciente e vigile, solo parlandogli è riuscito a tenerlo desto e vivo: «per tutta la corsa all’ospedale avevo sempre tenuto il Santo Padre stretto tra le mie braccia. Mi fu letteralmente tolto dalle mani e poggiato a terra. Perdeva tanto sangue», ricordo ancora con una punta di dolore 40 anni dopo i tragici fatti. «Perdeva tanto sangue», si conclude il racconto a Rep, «il professor Buzzonetti (il medico personale del Papa, ndr) gli mosse le gambe e gli chiese di piegarle da solo»: Wojtyla vi riuscì e fu subito dopo caricato in ambulanza verso il Policlinico Gemelli, «segno che non tutto era perduto».

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