Empowerment e sostegno ai percorsi di Leadership femminile sono punti cruciali nel dibattito politico, economico, sociale e recentemente hanno richiamato anche il settore privato a ricoprire un ruolo determinante in questo processo di cambiamento contrassegnato ancora in Italia da numeri negativi.

Di cosa può fare un’azienda che crede della parità di genere per promuovere l’affermazione delle donne nel lavoro, di leadership femminile e di competenze parliamo in questa intervista con una professionista sul campo: Teresa Esposito – Channel Sales Director di Canon Italia. «Essere leader per me significa anche saper chiedere supporto alle persone, essere in grado di ascoltare e integrare il contributo ciascuno, perché insieme si immagini e realizzi sempre qualcosa di migliore».



In occasione del G20 si è parlato di sviluppo della leadership femminile come priorità nazionale e un’attenzione particolare è stata data al ruolo del settore privato. In che modo le aziende del settore possono guidare questo cambiamento nel mondo del lavoro?

La diversità di genere, così come ogni forma di diversità, va trattata con profondo rispetto. A ben guardare ci sarebbe da chiedersi perché la diversità in tutte le sue forme non sia intesa come ricchezza bensì come una diminutio, tuttavia questo ci porterebbe lontano a scomodare discipline variegate. Un’azienda che oggi voglia originare e presidiare questo cambiamento credo debba seguire un percorso non dissimile rispetto a ogni altro processo di indagine e rimozione delle barriere al successo di qualunque attività o progetto. Bisognerebbe innanzitutto partire da ciò che è oggettivo, ovvero comprendere lo stato attuale delle cose facendosi delle domande semplici: percentuale di donne in posizione di responsabilità, percentuale di differenza nei trattamenti salariali tra uomini e donne, età media di accesso delle donne a posizioni di vertice verso gli uomini, accesso a percorsi formativi di alto livello, e così via. Questa prima analisi porterebbe facilmente a stabilire la dimensione del fenomeno e l’urgenza e dimensione dell’intervento correttivo.



Dopodiché cosa bisognerebbe fare?

A questo punto è semplicemente necessario definire un piano concreto che indirizzi sia le origini che le conseguenze di un disequilibrio di genere. Per le prime, essendo più legate a biases e a fattori culturali, bisogna necessariamente partire da un processo formativo e di rieducazione teso a far metabolizzare che un ambiente ben bilanciato, come molte ricerche dimostrano, consente maggior sviluppo e anche di operare in contesti più equilibrati e soddisfacenti per tutti, donne quanto uomini. Indirizzare le seconde è una responsabilità delle HR innanzitutto, e lo si fa semplicemente ristabilendo l’equità, ovvero dando alle donne le stesse opportunità di carriera e sviluppo e facendo sì che a parità di responsabilità corrisponda parità di trattamento. Onestamente credo che le soluzioni siano molto meno complesse di quello che si voglia far credere, basta realmente volerlo.



Noti un divario tra intenzioni e possibilità?

Spesso vedo le aziende cavalcare la gender diversity come un hot topic comunicativo e non come una rilevante barriera allo sviluppo, o un venir meno a principi etici e in netto contrasto con i valori aziendali dichiarati. Il sostanziale superamento di questa problematica ci sarà probabilmente quando le organizzazioni inizieranno a trattare l’argomento con la dovuta serietà e con l’autentico desiderio di modificare lo status quo, e non come un vessillo comunicativo. E questo non tanto e non solo in nome di un principio di equità, che pure è rilevante, ma soprattutto perché aiuta le aziende a crescere e ottenere risultati migliori.

“Leadership femminile” nella pratica, secondo te, segna un cambio di ruolo o di stile?

Ogni individuo è portatore di un sistema valoriale, di un bagaglio di esperienze e di approcci che è unico. Certamente ci sono dei tratti più comuni alle donne e altri agli uomini. Sicuramente, come molte ricerche indicano, la leadership al femminile ha dei canoni di “stile” parzialmente differenti da quella maschile, è in genere più empatica, tesa alla collaborazione, al lavoro di team, a concentrarsi sul risultato sicuramente ma privilegiando modalità di raggiungimento dello stesso più inclusive, nulla togliendo alla capacità, che non ha genere, di essere assertivi e guidare con autorevolezza.

In un contesto aziendale sfidante come quello di Canon cosa ci vuole oggi per essere ed essere riconosciute leader? 

Credo la leadership abbia connotati simili in ogni azienda. Essere riconosciuti come leader significa innanzitutto sentirsi tali, significa saper indirizzare le energie delle persone verso un obiettivo comune, saperle guidare con autorevolezza nel percorso a volte tortuoso che porta al successo, facendo sì che ogni persona sappia di essere elemento imprescindibile di quel percorso e che tutti si sentano parte di esso quanto del successo finale. Credo che un vero leader non sia chi dà continuamente compiti alle persone, o non soltanto, ma sia chi condivide una visione, qualcosa in cui credere e per cui spendersi quotidianamente. A volte si pensa che un leader debba essere onnisciente o non mostrare mai crepe. In realtà sono profondamente convinta del contrario. Essere leader significa per me anche saper chiedere supporto alle persone ed essere in grado di ascoltare e integrare il contributo di ciascuna persona, perché insieme si immagini e realizzi sempre qualcosa di migliore.

Qual è secondo te la qualità più importante nella gestione dei team?

Una qualità che tutti pensiamo di avere ma che nella realtà è molto rara e su cui bisogna continuamente lavorare, la capacità di ascoltare. Fondamentale, inoltre, è per me coinvolgere le persone nelle decisioni anche quelle più strategiche perché nessuno si senta come un mero esecutore di decisioni prese altrove ma parte del disegno e della sua realizzazione. Solo così si potrà essere sicuri che ci si muove insieme verso l’obiettivo comune.

Uno dei nodi centrali nel rapporto lavoro e carriera, soprattutto femminile, è quello del Work-life balance: tu come gestisci questo equilibrio? 

Non è mai facile, per le donne quanto per gli uomini. Con gli anni ho imparato però che molto di quell’equilibrio dipende da noi e dalle scelte che compiamo ogni giorno. Non credo ci sia una scelta più giusta di un’altra, e naturalmente ognuno ha complessità differenti nella propria vita, ciò che faccio io è stabilire le aree di libertà che non voglio vengano invase e le proteggo cercando comunque di bilanciare il tempo e le energie destinate al lavoro quanto alla vita privata perché né l’uno né l’altra abbiano a partirne. È chiaramente un equilibro dinamico e non sempre si riesce, ma è un esercizio che via via col tempo da risultati migliori

Se dovessi dare un consiglio a una giovane donna che entra oggi in un ambiente di lavoro cosa le suggeriresti?

Innanzitutto, provare a scegliere un’organizzazione i cui valori siano quelli giusti e riflessi nei processi e nelle attività reali dell’azienda. Per il resto i consigli sono gli stessi che darei a un giovane uomo, ovvero di avere ben chiaro l’obiettivo di carriera che si persegue, di lavorare costantemente su di sé per migliorare non solo le competenze tecniche ma il saper essere, la capacità di ascoltare gli altri, di essere portatore di energie positive, di governare attività, progetti e team in modo collaborativo, di mantenere sempre la capacità di guardare alle cose in modo creativo per non perdere mai l’abitudine di immaginare e realizzare qualcosa di diverso e migliore, qualunque attività si svolga.

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