TITOLI DI TESTA – «[…] Like a true nature’s child / We were born, born to be wild / We can climb so high / I never wanna die // Born to be wild / Born to be wild» «[…] Come un vero figlio della natura / Siamo nati, nati per essere selvaggi / Possiamo arrampicarci così in alto / Non voglio morire mai // Nati per essere selvaggi / Nati per essere selvaggi».



Manuale più o manuale meno alla mano, c’è (quasi) sempre una consueta manciata di pellicole a rappresentare il principio di quel radicale cambiamento nel modo di fare e intendere il cinema “made in Hollywood” (ma non solo) impostosi a cavallo tra anni Sessanta e Settanta e che Franco La Polla ha definito «[i]l maggior fenomeno di rinnovamento del cinema statunitense dai tempi dell’avvento del sonoro»: Gangster Story (Bonnie and Clyde, 1967, Arthur Penn), Il laureato (The Graduate, 1967, Mike Nichols), Easy Rider – Libertà e paura (Easy Rider, 1969, Dennis Hopper), Cinque pezzi facili (Five Easy Pieces, 1970, Bob Rafelson) e Conoscenza carnale (Carnal Knowledge, 1971, Mike Nichols), di cui gli ultimi tre sono anche legati da un trait d’union d’eccezione quale la presenza della futura stella Jack Nicholson (1937), che all’epoca della lavorazione del primo stava addirittura prendendo in seria considerazione l’ipotesi di abbandonare la recitazione. Eppure solo uno ha resistito nell’immaginario collettivo sia all’usura del tempo che al trascorrere delle mode, come specifica espressione di quell’irripetibile frangente storico, come reale punto di svolta di come l’America si guardava nello specchio del grande schermo e il mezzo cinematografico ridefiniva la cultura.



Un film-manifesto che – a cinquant’anni dal suo sbarco in competizione sulla Croisette (dalla quale è tornato in patria con il premio per la migliore opera prima assegnatogli dalla giuria presieduta da Luchino Visconti) – la 72ª edizione del Festival di Cannes celebra questa sera alla presenza del suo coproduttore, cosceneggiatore e coprotagonista Peter Fonda (1940): presso la Salle Buñuel alle ore 20 è infatti in programma la proiezione di Easy Rider nella versione restaurata da Sony Pictures Entertainment in collaborazione con Cineteca di Bologna, a partire dal negativo camera 35mm originale scansionato e restaurato in 4K presso L’Immagine Ritrovata.



Un film epocale già solo nel budget: costato non più di 400.000 dollari (stimati), entro il febbraio 1972 riesce infatti a racimolare una cifra pari a quasi 42 milioni sul solo mercato statunitense e 60 milioni sul quello mondiale. Ma chi è un “easy rider”? Secondo il cosceneggiatore, coprotagonista e regista Dennis Hopper (1936-2010) «è una persona che vive… non è un pappone, ma è chi vive dei proventi di una prostituta. È un “easy rider”. È quello che lei ama e a cui dà il proprio denaro. Non fa il pappone ma è il suo “easy rider”». I 95 minuti della pellicola (ma la prima versione montata da Hopper lungo un intero anno dopo la fine delle riprese ne durava 220…) raccolgono l’eredità della controcultura Usa degli anni Sessanta e inaugurano dunque in musica e fotogrammi la stagione della New Hollywood, «i dieci anni che sconvolsero il cinema americano», con il piglio sfrontato e “strafatto” (qui letteralmente, ma non per questo meno amaro) di un western moderno che prende la forma di una scorrazzata in choppers Harley Davidson nella direzione opposta (da Ovest a Est, da Los Angeles a New Orleans) di due giovani, Billy (Hopper) e Wyatt / “Capitan America” (Fonda).

Quando si parla di viaggi e di libertà, anche se il contenuto è contestatario, il quadro di riferimento “made in Usa” è imprescindibile, basta guardare nomi e luoghi: Billy (the Kid), Wyatt (Earp, il ruolo del padre di Peter, Henry, in Sfida infernale [1946, John Ford]), l’Old Trails Bridge a Topock in Arizona (il ponte che sempre Henry Fonda, come Tom Joad, oltrepassava con la famiglia per entrare in California in Furore [1940, John Ford]), l’iconica Monument Valley attraversata a tutto gas di giorno e contemplata alla luce del tramonto… Non c’è da stupirsi se Jack Nicholson ha definito la pellicola «l’Ombre rosse [1939, John Ford, ndr] dei film in moto»: un ennesimo – ma qui (contro)epico e disilluso-– percorso di «Vita, Libertà e ricerca della Felicità».

TITOLI DI CODA – «The river flows / It flows to the sea / Wherever that river goes / That’s where I want to be / Flow river flow / Let your waters wash down / Take me from this road / To some other town […]» «Il fiume scorre / Scorre verso il mare / Dovunque il fiume va / È lì che voglio essere / Scorri fiume scorri / Lascia che le tue acque lavino a fondo / Portami da questa strada / In qualche altra città […]».