In una regione tormentata come è quella israelo-palestinese, divisa da odio razziale e religioso, dove si muore ogni giorno, c’è uno spazio di convivenza possibile.

È quanto ci ha detto in questa intervista Salem Billan, direttore di radioterapia al Rambam Hospital di Haifa, docente universitario e consulente di oncologia negli ospedali italiani Holy Family Hospital di Nazareth e in quello di Haifa: “Negli ospedali dove lavoro, ma in tutti quelli israeliani, lavorano fianco a fianco medici arabi, cristiani ed ebrei così come vengono curate persone di ogni religione e razza. Non si fa alcuna distinzione e per questo si può dire che l’istituzione sanitaria sia l’unico spazio dove esiste una autentica convivenza pacifica, a differenza di quello che purtroppo succede tutti i giorni, dove le persone si uccidono tra loro”.



Salem Billan sarà presente al Meeting di Rimini il 21 agosto per prendere parte all’incontro “Un bene che supera i confini” insieme a Azezet Habtezghi Kidane, missionaria comboniana, infermiera di professione, codirettrice di Kuchinate, una Ong che si occupa di rifugiate africane a Tel Aviv.

La facoltà di medicina israeliana è aperta senza distinzioni a arabi ed ebrei?



Sì. Fino a pochi anni fa l’accesso era molto più facile per gli arabi, adesso è diventato più difficile perché è stato aggiunto un esame di ammissione molto difficile per gli studenti arabi, tanto che su circa 550 studenti di medicina oggi solo 40 sono arabi.

In che senso più difficile?

Non dal punto di vista medico, ma da quello esperienziale. È un esame che riguarda il tipo di vita e le occasioni di esperienze sanitarie. A differenza degli ebrei, per noi arabi il servizio militare non è obbligatorio, e questo ci priva di molta esperienza sul campo. Inoltre questo esame viene fatto in lingua ebraica e non molti arabi la sanno parlare così bene come richiesto. Tutto questo rende difficile il loro inserimento, tanto che molti studenti arabi preferiscono studiare medicina all’estero. Io stesso ho studiato a Torino.



Ma queste difficoltà sono state applicate per favorire gli studenti ebraici? Una sorta di discriminazione politica?

No, assolutamente, non ci sono motivi politici. Di fatto però quella che era una bella occasione per gli arabi di trovare una buona occupazione e anche motivo di orgoglio per le loro famiglie, si è ridotta. È un esame di ammissione che esiste solo per la facoltà di medicina.

Dal punto di vista dei pazienti invece, Israele garantisce l’assistenza a tutti, senza differenza religiosa?

Sì, la nostra assistenza sanitaria è una delle migliori al mondo e senza alcuna discriminazione. Anche dal punto di vista professionale ci sono medici arabi ed ebrei, nessun arabo rifiuta di farsi curare da un medico ebreo e viceversa.

A Nazareth invece come è la situazione?

Holy Family è un grande ospedale tra i più attrezzati, qui vengono a farsi curare anche gli ebrei. La differenza è che è una istituzione privata per cui il governo non copre le spese, che sono affidate alle assicurazioni private, ma i palestinesi possono venire qui a prendere farmaci che difficilmente trovano.

Quello che dice dimostra che in una regione tormentata da divisioni e conflitti quello sanitario è un esempio di convivenza.

Penso che la medicina sia un ottimo esempio di mancanza di differenza religiosa e politica, tutti lavorano insieme. Ad Haifa recentemente ci sono stati grossi problemi, scontri e divisioni, ma in ospedale sembrava di non essere nella stessa città, tutti hanno continuato a lavorare insieme. Il direttore ha scritto in una lettera che noi siamo una famiglia senza differenze e curiamo tutti. La medicina può essere un ponte che unisce le persone.

I cristiani in Israele sono una piccola minoranza, che ruolo e che speranza siete?

Siamo solo 140mila, ma i cristiani ebrei sono tra i più colti e preparati del Paese. Siamo una piccola comunità, ma siamo un esempio per tutti, perché noi non siamo divisi, non siamo in mezzo agli scontri quotidiani. In Israele ogni giorno qualcuno viene ucciso tra gli arabi soprattutto, vedere una presenza di persone che vive in pace, che si impegna socialmente e professionalmente, è qualcosa di speciale.  Certamente siamo preoccupati della situazione politica, delle uccisioni e che anche noi possiamo diventare vittime, ma siamo sereni e lavoriamo con tutti, questo fa la differenza.

Il titolo di questo Meeting, “Una passione per l’uomo”, fa immediatamente venire in mente il senso della sua professione, impegnarsi per l’altro…

È la prima volta che vengo a Rimini e come dice lei quando ho visto il titolo ho sentito subito qualcosa di mio, di legato a me. Come dice lei, il mio lavoro è motivato dalla passione per l’uomo, e per questo credo che il campo medico in Israele dimostri che la convivenza è possibile. La vita di ogni uomo ha un valore altissimo, non ci sono differenze, guardiamo all’uomo come uomo e non per la sua religione o appartenenza.

(Paolo Vites) 

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