Come si può prevenire l’infiammazione da Covid-19? C’è un modo per impedirle di degenerare in polmonite interstiziale? Queste sono due delle domande che da mesi ci facciamo e si pone chi vuole evitare di finire in ospedale dopo un eventuale positività al coronavirus. A dare delle risposte significative è il professor Giuseppe Remuzzi, che insieme a tre suoi colleghi – Fredy Suter, Monica Cortinovis e Norberto Perico – ha scritto un documento sulle cure a casa, cioè su come trattare i primi sintomi. «Non è un protocollo scientifico né una linea guida, ma semplicemente la sintesi delle nostre esperienze sull’efficacia dei farmaci nella cura del coronavirus messa nero su bianco». Questa la premessa del direttore dell’Istituto Farmacologico Mario Negri ai microfoni di Libero. Il documento è nato dopo le richieste di informazioni arrivate in particolare da America Latina e Africa. «Questo documento contiene i consigli che noi diamo ai medici di Paesi che non hanno un sistema sanitario come il nostro su come curare il Covid».



COME CURARE COVID A CASA, IL DOCUMENTO DI REMUZZI

Il documento, pubblicato anche sulla rivista Clinical and Medical Investigation (clicca qui per visualizzarlo), non è attribuibile all’Istituto Mario Negri, precisa il suo direttore. Non si tratta di linee guida, che richiedono anni di esperienza sul campo, ma indicazioni sulle terapie usate. Si parte da un punto chiave: la tempestività di intervento. «Prima curi, più hai successo. Bisogna evitare il più possibile di arrivare al ricovero in ospedale. E questo aiuta anche gli ospedali ad assistere i malati gravi». La peculiarità dell’approccio del professor Giuseppe Remuzzi è la cura ai primi sintomi, mentre si aspetta l’esito del tampone. Questo però la prima fase, quella asintomatica che dura da 3 a 5 giorni, è caratterizzata da un’alta carica virale, che aumenta ulteriormente con la comparsa dei sintomi. «Per questo il contagio si propaga rapidamente». La malattia va quindi affrontata prima che scenda ai polmoni. «Appena si avvertono i sintomi più comuni noi suggeriamo di assumere nimesulide o celecoxib, per via orale, se non ci sono controindicazioni, per un massimo di dieci giorni». Questi farmaci inibiscono la cosiddetta “tempesta citochinica” e limitano la fibrosi interstiziale dei polmoni, secondo quanto evidenziato da Remuzzi, che per le dosi precisa che è il medico di famiglia a decidere.



LA RIVOLUZIONE DI REMUZZI: “COSÌ EVITIAMO RICOVERI”

Se i pazienti hanno segni di danno epatico e problemi cardiaci, possono sostituire quei farmaci con l’aspirina. Molti però erroneamente prendono la tachipirina. «Abbassa la febbre ma non ha un’azione antinfiammatoria», ha spiegato il professor Giuseppe Remuzzi a Libero, segnalando che peraltro potrebbe favorire successivamente un aggravarsi della malattia. È ovviamente fondamentale avvertire subito il medico, a cui spetta il compito di indicare i farmaci da assumere e le dosi. «Insomma, cura a casa non significa affatto cura fai da te», ha chiarito il direttore dell’Istituto Mario Negri di Bergamo. Inoltre, ha spiegato che i pazienti curati così hanno mostrato miglioramenti nel giro di 3-4 giorni. Poi si fanno esami di controllo per valutare se proseguire con la stessa terapia, se invece si procede verso una iper-infiammazione o coagulazione si dispone una radiografia del torace, da eseguire sempre a casa, ed eventualmente si passa ad altre terapie. Possono servire ad esempio cortisone ed eparina. Per le persone più fragili e anziane, o se la malattia degenera in polmonite batterica, Remuzzi suggerisce azitromicina, in alternativa cefixima se si soffre di aritmie cardiache.



L’ossigeno, invece, è un supporto utile nelle prime fasi della malattia, prima della comparsa dei sintomi polmonari, ma se il saturimetro indica una diminuzione progressiva dell’ossigeno nel sangue. «Se si parte presto, di solito si riesce a evitare il ricovero», ha dichiarato il professor Giuseppe Remuzzi a Libero. Un approccio rivoluzionario, che è sottoposto a studio. Tra qualche mese sarà chiaro se questo approccio ha una dignità scientifica o meno. I primi risultati però sono incoraggianti.