Nei giorni scorsi c’è stata l’audizione del Ministro Gualtieri in Parlamento alla quale ha fatto seguito l’approvazione dello scostamento di bilancio che stanzia i fondi da destinare al decreto Ristori 5. Chi ha avuto modo di ascoltare l’audizione sarà rimasto sorpreso di come si possa dire la verità pur se la stessa non ha sostanza. L’audizione è stato un continuo snocciolare di dati in valore assoluto che nessuno si ferma mai a valutare in senso relativo. Nessuno credo possa negare le tante misure adottate e che in molti casi i soldi promessi sono giunti nelle tasche dei destinatari. Quello che però lascia senza parole è la narrazione che viene data dei provvedimenti. Bisognerebbe, infatti, spiegare quanto in media ciascuno ha ricevuto così da poter capire se forma e sostanza si possano riconciliare.



Forse ci stava provando il deputato M5s Leonardo Donno, con le sue parole pronunciate alla Camera: “Lo dico da partita Iva, da artigiano… Alcuni leader di partito non sanno che vuol dire alzarsi alle sei di mattina”. In realtà non sappiamo cosa realmente volesse dire perché in aula, durante il suo intervento, è montata una protesta che ha indotto il Presidente di turno a sospendere i lavori.



Ritornando al ristori 5, ancora non si conoscono nel dettaglio le misure che saranno introdotte. Secondo qualche commentatore, il ritardo sarebbe legato ad alcuni suggerimenti in arrivo dall’Europa che ci stimola affinché si intraprenda un cambio di passo. Il nuovo decreto interverrà in un momento in cui la campagna vaccinale stenta a consolidarsi e questa volta non per colpa dell’organizzazione italiana. A mancare, infatti, sono i vaccini. È senz’altro difficile convincere le aziende già pronte a cedere, ovviamente dietro un equo ristoro, la “ricetta” perché altri laboratori possano produrre i vaccini per aumentarne la disponibilità. Una brusca accelerazione della campagna vaccini sarebbe auspicabile per più ragioni che vanno dalla stabilità economica a quella sociale. Il mondo ha passato un anno di vita sospesa e non può sopportarne un altro. Se il vaccino tarda ad arrivare, allora bisogna stabilire regole di convivenza con il virus. Se convivenza deve esserci appare inevitabile introdurre o rafforzare provvedimenti che consentano alle aziende ammalatesi per il Covid di poter ripartire. 



Un buon inizio potrebbe essere intervenire su alcune interessanti norme già introdotte al fine di rafforzarle e sfrondarle. Una norma sulla quale già ci siamo soffermati è quella relativa alla capitalizzazione delle aziende prevista dall’art. 26 del decreto rilancio. Come abbiamo avuto modo di dire, la portata di questa norma è stata depotenziata dall’azione ideologica messa in campo dalla burocrazia e da una parte della politica che pure l’ha votata. Con il 31/12/2020 un pezzo della norma, forse quello più vantaggioso, per il quale ancora manca qualche provvedimento attuativo, ha esaurito i propri effetti e sarebbe interessante misurarne i risultati. Potremmo scoprire che l’incertezza e i ritardi che hanno caratterizzato la sua applicazione, tra i quali la previsione di un click day ancora senza regole, hanno spaventato molti potenziali fruitori. 

A questo punto viene spontanea una domanda: quanto è normale chiedere a un imprenditore di investire e poi subordinare il potenziale beneficio, che non ha nulla di meritocratico, a un click day? Se come detto i prossimi mesi dovranno passare per una convivenza con il Covid, allora bisogna riprendere questa norma e favorirne l’applicazione. Va per esempio superato uno dei parametri di accesso: aver subito un calo di fatturato del 33% nei mesi di marzo e aprile del 2020. L’epidemia è ancora tra noi per cui la platea delle aziende destinatarie va allargata a tutte quelle che hanno subito e ne stanno subendo gli effetti negativi. La rivisitazione della norma è necessaria per indurre i soci a intervenire dandogli uno stimolo. I troppi paletti previsti dalla versione della norma valida per il 2021 appaiono altrettanto ideologici.

I prossimi provvedimenti devono consentire la riapertura delle attività economiche oggi chiuse. La riapertura, opportunamente regolata, potrà favorire l’autonoma formazione dei ristori alleggerendo la pressione sulle finanze statali. Questa soluzione appare necessaria perché solo così si potranno mettere in sicurezza i debiti delle piccole e medie imprese che sono a rischio default. Un fallimento diffuso delle aziende metterebbe a grave rischio la tenuta del sistema bancario dell’Eurozona. In Europa l’indebitamento delle Pmi è diffuso, l’80% dei finanziamenti proviene dalle banche e ciò desta allarme per la tenuta del sistema. A rischio sono le economie dei Paesi del Sud Europa, prime tra tutte quelle di Italia, Grecia e Portogallo, dove oltre un quarto dei prestiti bancari è destinato a piccole e medie imprese, rispetto all’11% della Germania. Il rafforzamento patrimoniale consentirebbe di superare anche il congelamento delle perdite che caratterizzeranno i bilanci aziendali del 2020. Anche qui il provvedimento che rinvia di qualche anno le azioni di ricapitalizzazione non consente da solo di realizzare una proficua collaborazione banche-aziende per ragioni legate al merito creditizio.