Api e città. In apparenza due mondi distanti. Nella realtà, sistemi interconnessi dove le prime rappresentano la cartina di tornasole dei cambiamenti apportati dall’uomo nelle seconde. “Le aree urbane offrono una grande opportunità per capire come piante e impollinatori reagiscono alle transizioni ambientali.
Questi due gruppi di esseri viventi sono infatti la chiave di molti processi direttamente e indirettamente connessi con le società umane e con il funzionamento della natura”, afferma Paolo Biella, ricercatore di Ecologia dell’Università di Milano-Bicocca, nel commentare i risultati di uno studio condotto dal gruppo di ricerca del dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’ateneo milanese dal titolo “City climate and landscape structure shape pollinators, nectar and transported pollen along a gradient of urbanization”, appena pubblicato sul Journal of Applied Ecology.
La ricerca, promossa con il supporto di Regione Lombardia nell’ambito del progetto “Pignoletto”, dimostra che “la variazione della cementificazione del paesaggio in una regione – spiega Biella – crea un gradiente di trasformazione del paesaggio dovuto all’urbanizzazione”.
Gli scienziati dell’Università Milano-Bicocca si sono in particolare focalizzati sull’effetto dell’urbanizzazione del paesaggio e del clima su due gruppi di impollinatori (api selvatiche e sirfidi), sulle risorse floreali a loro disposizione (il nettare utilizzato per l’alimentazione) e sul polline trasportato sui loro corpi, necessario a impollinare le piante. “Lo abbiamo fatto – aggiunge Biella – in un insieme di 40 siti collocati principalmente nella città metropolitana di Milano, che spaziano da aree seminaturali a basso impatto ad aree con diversi livelli di edificato”.
E, purtroppo, i risultati di questo lavoro evidenziano criticità. Gli effetti dell’urbanizzazione – dice lo studio – sono risultati in generale negativi per la presenza di impollinatori. Innanzitutto, la ricerca rileva una diminuzione degli insetti nelle aree suburbane. “Erano le più ricche – afferma Biella -: quando il paesaggio era occupato dal 22% di superfici cementate si è arrivati a contare oltre 100 individui in 24 ore, poi diminuiti con la crescente urbanizzazione”.
A influire negativamente sulla minore presenza di impollinatori non è però la sola mancanza di verde e risorse floreali: anche il clima locale gioca un ruolo. “Gli impollinatori – prosegue il ricercatore – sono diminuiti nelle aree più urbane che mostrano minime variazioni di temperatura tra la primavera e l’estate. Una temperatura che qui si mantiene alta più a lungo rispetto a quella delle aree semiurbane o agricole”.
L’urbanizzazione incide poi in modo diretto sul servizio ecosistemico di impollinazione. “Nel polline trasportato dagli impollinatori – sostiene Biella – abbiamo trovato progressivamente meno specie di piante al crescere delle aree cementificate. Il polline di città contiene inoltre un’elevata incidenza di piante esotiche e ornamentali, suggerendo la presenza di comunità vegetali molto antropizzate”.
La ricerca ha infine registrato un aumento del nettare disponibile – la massa zuccherina di cui si nutrono gli impollinatori quando si posano sui fiori – proporzionale alla copertura cementata e alle precipitazioni. “I nettari delle città erano meno consumati dagli impollinatori, meno presenti, e le piante si dimostrano più produttive, forse avvantaggiate dalle più copiose precipitazioni”, conclude Biella.
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