Carlo Pelanda va contro corrente e sul tema del “green” prova ad ‘urlare’ dalle colonne de “La Verità” che il “re (del cambiamento climatico) è nudo”: l’economista e accademico riflette oggi sul quotidiano in edicola le possibili mire dell’agenda franco-tedesca sul clima, alla base del Green New Deal della Commissione Von der Leyen. Una mira che va ben oltre la “buona novella” della lotta contro il riscaldamento climatico e le emissioni di anidride carbonica: «è una scusa per ergersi a campione mondiale della battaglia ambientale», attacca Pelanda identificando nell’ultimo accordo nel G20 di Venezia la “prova” della retorica europea ben lontano dall’effettiva lotta pro-green.



«Parigi ha proposto una tassa globale piuttosto elevata per chi produce troppa CO2. A cosa serve? A giustificare «dazi ambientali» contro le importazioni dalla Cina e dal- l’America. Protezionismo? Non necessariamente, ma certamente strumento, appunto, per scambiare vantaggi in sede di negoziato nonché per ottenere una capacità dissuasiva», scrive Pelanda puntano il dito contro la strategia tanto di Macron quanto di Merkel-Von der Leyen. Dopo il caos sui motori diesel degli anni scorsi, l’economia dell’auto tedesca ha necessitato un cambio di strategia improvviso sul mondo dell’elettrico e serve ora una “scadenza” imminente per poter giustificare la propria corsa economica su un concetto “buono” come la salvezza del pianeta.



LA RETORICA UE CONTRO IL VERO GREEN

«Gli strateghi di Berlino studiano da tempo come dare alla Germania lo status di potenza non avendo più questa né i panzer né il marco. La risposta è stata: “potenza etica”, da trasferire all’Ue, ma per poi ritrasferirla alla Germania che ne è il maggiore potere», attacca ancora l’economista dalle colonne de “La Verità”. Questa potenza è stata trovato nel “verdismo”, nell’ideologia green che ammanta l’intera proposta politica della Commissione a guida Von der Leyen. Un ‘verdismo’ utile per scambiare come e più di prima con la Cina ma ora con una “patente di moralità” per tenere buona l’opinione pubblica: di contro emergono sempre più studi (e scienziati) che spiegano come la corsa alla decarbonizzazione e all’elettrico sia non esattamente un modo “pulito” e “green” per combattere il surriscaldamento globale.



Vi è una tecnologia, sottolinea Pelanda, molto promettente e con già diversi risultati che permette non solo di imprigionare la CO2 sottoterra ma proprio di trasformarla da problema in risorsa: «la ricerca che punta a trasformare la CO2 gassosa in carbonio solido, via catalisi». Il vero problema è che questa tecnologia avveniristica, di cui tra l’altro l’Italia è in prima fila, viene osteggiata dai movimenti verdi ed ecologisti di mezza Europa: tradotto, Francia e Germania temono la tecnologia “green” perché distruggerebbe la loro proposta specifica di “ambientalismo”. Chiosa Pelanda, «Sarebbe più produttivo, invece, un accordo euro-americano e G7 per un megaprogramma di accelerazione dei sistemi che estraggono la CO2 dall’atmosfera trasformandola in carbonio solido puro. Questa sarebbe la vera de- carbonizzazione non recessiva».