Il cibo e un nuovo modello di produzione e consumo alimentare come paradigmi di un modello di vita non solamente più sostenibile ma anche rispettoso dell’ambiente e capace di auto-sostenersi: è questo l’obbiettivo di coloro che propongono di applicare i principi e le buone pratiche della cosiddetta economia circolare al mondo del food e del comparto agroalimentare in modo da ridurre l’impatto sull’ambiente delle produzioni industriali e lo stesso concetto di “scarto” dalle nostre abitudini. È oramai chiaro da tempo che il modello su cui si è retto il sistema alimentare negli ultimi decenni non solo non ha eliminato le disuguaglianze nel mondo ma ha pure avuto impatti devastanti.

A tal proposito basti pensare ad esempio solamente allo sfruttamento intensivo a scapito dei suoli e al fatto che molte risorse naturali oramai scarseggiano, ma pure alla distruzione delle biodiversità, agli effetti dei cambiamenti climatici, all’alterazione del ciclo dell’azoto e, non ultima, in questa drammatica catena di conseguenze anche la diffusione soprattutto nei Paesi sviluppati di comportamenti di consumo e acquisto alimentari improntati allo sperpero e tesi purtroppo a non dare il giusto valore al cibo e alle sue proprietà. Una possibile soluzione arriva tuttavia dalla Ellen MacArthur Foundation.

ECONOMIA CIRCOLARE DEL CIBO: PERCHE’?

L’organizzazione non profit con sede negli Stati Uniti aveva presentato nel 2019 un articolato rapporto in cui metteva in luce i pericoli per l’ambiente e la nostra salute causati dal cibo industriale, spiegando anche come e perché è necessario introdurre la filosofia dell’economia circolare anche nel sistema produttivo alimentare. Per “circular economy” si intende un sistema economico che sia in grado di auto-sostenersi e rigenerarsi autonomamente e che dunque sia anche sostenibile dal punto di vista ambientale: in questa ottica i flussi biologici possono essere reintegrati nella biosfera e l’idea stessa di rifiuto decade dato che, ad esempio, lo scarto stesso non esiste più perché diventa nutrimento all’interno di un ciclo virtuoso che peraltro consente un risparmio in termini energetici e di processi impattanti sull’ambiente.

Per fare questo da tempo gli scienziati (ma anche i designer, declinandola nei vari settori di appartenenza) promuovono sempre di più la bioeconomia che rende possibile sfruttare in modo intelligente le risorse rinnovabili e consente al rifiuto di entrare nel ciclo di riutilizzo in processi produttivi “green”. Nel report non viene detto esplicitamente ma in filigrana si legge il recupero di tutto quel background di saperi e stili di vita di una civiltà contadina che va scomparendo e che aveva un rapporto meno egoista col cibo dato che tutto veniva in qualche modo riusato. Insomma, economia circolare e tecnologia al servizio di un modello più equo e che abbandoni la logica dell’usa-e-getta.

LA BIOSOSTENIBILITA’ COMINCIA A TAVOLA…

Ma in cosa consiste in concreto questo nuovo paradigma? Innanzitutto secondo gli esperti della Ellen MacArthur Foundation va ripensato il sistema di produzione alimentare in modo non solo da sfamare tutta la popolazione mondiale ma da fornirle pure cibo più sano e nutriente: attualmente per ogni dollaro speso in cibo ne comporta almeno due in costi sanitari per la popolazione ma pure in costi per l’ambiente, mentre ogni secondo nel mondo viene buttato l’equivalente di sei camion di alimenti. Sul lungo periodo questo sistema imploderà e già adesso la pandemia da Covid-19 sta acuendo problemi atavici: per questo i cardini di un nuovo sistema devono essere la rigenerazione dei materiali, la creazione di catene di approvvigionamenti più corte, impiego delle nuove tecnologie, incentivare pratiche agricole rigenerative (coltivazione conservativa, agroecologia), considerare gli scarti alimentari una risorsa.

In tal senso le buone pratiche sono tante e riguardano i diversi ambiti della filiera alimentare, a partire dai processi produttivi fino alle pratiche finali di consumo, ma a titolo d’esempio citiamo solo due casi: dopo che hanno successo all’estero, anche in Italia alcune start-up non solo hanno usato gli scarti di cibo per creare delle posate ecocompatibili ma hanno dato vita a stoviglie, piatti e bicchieri commestibili o comunque biodegradabili se non consumati; l’azienda siciliana “Orange Fiber” ha ideato tessuti sostenibili che rilasciano vitamina C sulla pelle partendo dagli scarti della lavorazione degli agrumi e l’idea è piaciuta a tal punto alla maison Salvatore Ferragamo che ha lanciato una collezione di abbigliamento donna ad hoc.