Tempo fa l’elettricista, nel cambiarmi un portalampade, mi dice: “Se vuole, ne monto uno meno potente, tanto qui le basta”. Ho risposto di getto “Lo lasci pure uguale”: tanto uso energia rinnovabile, mi sono detto.

Ci ho ripensato nel leggere un articolo su Economia Circolare ed effetto Rebound, il secondo ricordato come una controindicazione della prima, in grado di ritracciarne (o anche annullarne, in caso di Back-fire) i benefici indotti. In pratica si tratta di un fenomeno di reazione che in qualche misura riassorbirebbe i guadagni marginali ottenuti nell’utilizzo di risorse grazie all’aumento della loro produttività o della loro gestione efficiente: qualcuno è arrivato a stimarne al 25% la ricaduta.



Una premessa: l’Economia Circolare (EC), per fortuna, è ormai una realtà consolidata, in crescita e salvifica, sotto tutti i punti di vista: più che altro ci si chiede oggi come fare per favorirne al più presto uno sviluppo più incisivo e pervasivo. È arduo discuterne ancora la valenza, nonostante sia tuttora considerata spesso una velleità per pochi, e neanche sembrano averne scalfito l’indubbio valore assoluto i vari modelli di crescita, più o meno controllata, che le sono stati associati nel tempo.



Del resto la stessa energia solare ed eolica è stata considerata fino all’ultimo una nicchia, mentre ora è mainstream incontrastata e in pochi anni diventerà la prima fonte di elettricità del pianeta: peraltro nel 2022, per la prima volta, anche l’eolico a mare (dopo quello a terra e il solare fotovoltaico) ha battuto il carbone e il gas, in termini di costo unitario (Bloomberg). Una moderna pala eolica off-shore può arrivare a 15 MW di potenza, essere altamente efficiente, riciclabile al 100% e ancorabile attraverso sistemi galleggianti (anziché fissata ai fondali attraverso fondazioni): nel 2009 una pala eolica a mare aveva in media una potenza di 3 MW, era poco sostenibile o efficiente e aveva un costo unitario oggi impensabile. Per non parlare del costo, del rendimento e della riciclabilità dei pannelli solari di ultima generazione, ora anche “agri-compatibili” o galleggianti; o anche dei vistosi sviluppi nel campo dei sistemi per lo stoccaggio di energia o per la produzione di idrogeno verde.



Per tutto questo è servito, però, che all’inizio tanti portalampade “rinnovabili” come il mio non diventassero meno potenti, in contrasto ad esempio con i dettami del modello di crescita basato sulla sufficienza. In fondo, una volta sostenuto il costo per non impattare, perché poi privarsi della luce in più che si può ottenere, a parità di utilizzo, con una lampadina a basso consumo e riciclabile (Rebound tecnologico) o persino non concedersi un aumento di utilizzo, anche solo per appagare le sensibilità personali (Rebound psicologico). Ora quelle lampadine costano molto meno e regnano in tutte le case.

Certo, all’inizio il ciclo non si chiude subito a impatto zero: occorre procedere per passaggi successivi, piccoli o grandi, una volta trasmigrati nella dimensione Circolare dei consumi. Allora ha senso anche non rinunciare via via a tutte le potenzialità di una moderna pompa di calore o di un moderno piano a induzione o di un impianto solare domestico con batteria, una volta accettata la sfida del singolo shift, oneroso solo in partenza.

Lo sviluppo avanza attraverso cicli successivi e discontinui e viene abilitato dall’innovazione e dagli investimenti. L’innovazione provoca il passaggio a forme di consumo sempre più sostenibili, produttive ed efficienti, con il ricorso a risorse sempre più rinnovabili, ma questo shift ha ogni volta un costo d’ingresso: una persona su due, secondo una recente indagine di Altroconsumo, ritiene troppo costoso il ricorso all’EC e ciò probabilmente è fisiologico.

Gli investimenti possono far scendere questo costo e, a regime, possono generare altra innovazione, con la quale far partire nuovi shift e nuovi cicli di sviluppo. Ma gli investimenti richiedono consumi in crescita per sostenersi e questi, a loro volta, richiedono prezzi in discesa: allora l’Effetto Rebound potrebbe non essere così insidioso, perché contribuisce ad alimentare l’ingranaggio virtuoso innovazione-investimenti, che è il motore di una crescita sana.

L’EC può dunque essere davvero il mezzo, la guida di questo percorso verso la sostenibilità, più che verso il disaccoppiamento tra crescita e consumi. In questo scenario gli utilizzi estensivi (non gli sprechi) potrebbero davvero convivere con la crescita, a patto però che questa si accompagni con lo sviluppo: come se si passasse ogni volta a un girone superiore di un campionato, quello dell’EC. E non importa se un mondo Circolare al 100% possa sembrare una chimera.

A proposito, ho notato che in quel portalampade ora c’è una lampadina meno potente: “tanto lì basta” mi sono detto.

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