Fa parte dei 17 goal stabiliti dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile sottoscritta dai 193 Paesi membri delle Nazioni Unite. È uno dei pilastri del Next Generation Eu, il piano per il rilancio del Vecchio Continente. Parliamo dell’economia circolare, di quel modello cioè di produzione e consumo attento alla riduzione degli sprechi delle risorse naturali, e capace di prevedere condivisione, riutilizzo, riparazione e riciclo di materiali e prodotti esistenti.
I vantaggi di questa scelta sono facilmente immaginabili. In gioco c’è il benessere dell’intero pianeta. Ma intraprendere questa strada chiede al mondo industriale di ripensare processi e organizzazioni. E il comparto agroalimentare non potrà e dovrà mancare all’appello. Per l’industria di questo settore è quindi urgente ragionare sulla necessità di trattare gli scarti come risorse. Il che, in buona sostanza, significa individuare le modalità più efficaci per reimmetterli nel processo produttivo.
Proprio questa direzione si muovono le ricerche del Distas, il Dipartimento di scienze e tecnologie alimentari per una filiera agro-alimentare sostenibile dell’Università Cattolica di Piacenza e Cremona. “Ci stiamo in particolare concentrando – spiega la ricercatrice Alessandra Fontana – sulle filiere lattiero-casearie, e più nello specifico sul siero di latte permeato, ovvero ultrafiltrato”. L’obiettivo dichiarato è recuperare gli scarti di questa produzione. Scarti che racchiudono in sé diverse potenzialità di riutilizzo: una piccola parte può infatti essere proficuamente usata come fertilizzante naturale, mentre un’altra parte può essere trasformata in biometano, un prodotto che ha le stesse caratteristiche del gas naturale e può dunque essere immesso nella rete di distribuzione, e soprattutto in biogas, una miscela utilizzata per la produzione di calore e di energia elettrica.
Ed è esattamente su quest’ultima opzione sono al lavoro gli studiosi del Distas, che puntano a migliorare i processi di trasformazione della materia prima in energia pulita. In particolare, i ricercatori si sono focalizzati sulla selezione dei diversi microrganismi coinvolti nelle fermentazioni degli scarti. E qui l’intuizione vincente è stata affidarsi alla metagenomica, un approccio “molecolare” che si basa sullo studio del Dna dei batteri presenti negli avanzi della produzione. E che promette di migliorare le rese finali di biogas.
Un obiettivo importante per il comparto industriale che sarebbe fortemente penalizzato dal mancato sfruttamento degli scarti. Il costo che dovrebbe sopportare infatti sarebbe duplice: da un lato quello diretto dello smaltimento, dall’altro quello indiretto della perdita di energia chimica che gli avanzi di produzione ancora possono offrire.
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