Si entra nel diciassettesimo giorno di guerra, dell’invasione russa in Ucraina e, tra notizie contraddittorie e depistanti, che sono l’essenza della guerra, si ha la sensazione di una situazione che si aggrava sempre di più, dove nessuno in realtà si azzarda a delineare uno sbocco credibile e accettabile.

Intendiamoci, la tragedia che sta vivendo l’Ucraina, l’accerchiamento delle città, i bombardamenti, la colonna dei profughi che cercano di salvarsi e di quelli che resistono per combattere, oppure si rifugiano nelle stazioni delle metropolitane, nei rifugi improvvisati di Kiev e delle altre città, non è di certo paragonabile all’impotenza dell’Occidente, che lascia aperti i canali diplomatici, anzi li intensifica, senza però raggiungere alcun risultato e in sostanza senza poter porre fine a una tragedia che potrebbe essere l’anticamera di uno scontro mondiale.



Però l’invasione dell’Ucraina è veramente drammatica anche al di fuori del campo di battaglia, perché mette in luce un’impotenza e una debolezza dell’Occidente impensabile, per la sua impossibilità a intervenire, per la sua incapacità di deterrenza, per i suoi errori passati che sembra quasi che vengano scoperti oggi.



Proprio ieri Mario Draghi si dichiarava stupefatto del fatto che, dopo l’invasione della Crimea nel 2014, la dipendenza dalle forniture russe di gas alla Germania e all’Italia sia aumentata fino a superare abbondantemente il 40% del fabbisogno. Ma se lo dice Draghi, che pare uno dei più intelligenti, viene da chiedersi: ma per quale ragione tutti o quasi si sono fidati della Russia di Vladimir Putin in questi anni? Hanno preso tutti un abbaglio? Non sapevano che dovevano governare dei Paesi democratici che non possono certamente dipendere da regimi autocratici anche per le questioni energetiche?



Queste domande, in questi giorni, si liquidano con un argomento poco convincente: non mettiamoci a litigare adesso sulle responsabilità passate. Sarà giusto. Ma è anche giusto imparare a governare cercando di intuire, di capire il futuro su quello che è stato l’insegnamento del passato.

L’Occidente impotente (diciamola questa verità) deve comperare il gas russo e lo paga più salato di prima. L’Occidente impotente di fronte a questa tragedia, di fatto, anche attraverso una guerra economica alla Russia, attraverso le sanzioni, entra in quella che si chiama economia di guerra. Ricordiamo quello che ha detto il nostro ministro alla Transizione ecologica, Roberto Cingolani, il 10 marzo, sulle forniture di gas che arrivano dalla Russia: non possiamo chiudere del tutto, ma non possiamo neanche pagare il gas dieci volte il prezzo reale. Si finanziano dei profitti enormi. Se proprio dobbiamo comperare, che questo fatto non diventi la principale fonte di finanziamento di una cosa orribile come la guerra.

In una audizione al Senato sul Pnrr, Cingolani ha spiegato: “Al G7 Energia c’era come ospite, il mio equivalente ucraino nella sessione di apertura e potete immaginare che cosa ci siamo raccontati”. Ma Cingolani ha aggiunto altre considerazioni: “Stiamo di fatto finanziando una guerra”. Ancora Cingolani: “Il collega tedesco diceva: non possiamo chiudere e fermare tutta l’economia, altrimenti diventa una tragedia sociale in Germania. Vale anche da noi, onestamente, perché Germania e Italia hanno un destino simile come importazione”.

Certo, l’Unione Europea insiste per una velocità accelerata (tutta da vedere) verso una transizione rapida. Ma gli interrogativi si stanno moltiplicando e c’è qualcuno, come la Germania, che ha riscoperto niente meno che il carbone.

Ma l’impotenza dell’Occidente per la sua incapacità di deterrenza non si limita solo al fabbisogno di gas. C’è chi fa i calcoli sul futuro dell’agricoltura italiana per vedere quale boomerang ci stanno riservando sanzioni e guerra economica. Si dice da parte di alcuni specialisti: “Le quotazioni di grano tenero e mais, che segnano rispettivamente un +17% e un +23% rispetto alla scorsa settimana, sfondano per la prima volta nella storia in Italia la quota di 400 euro a tonnellata”.

E ancora: “Rispetto alle rilevazioni del 17 febbraio, ultima settimana prima dell’inizio della guerra, il grano tenero ha subìto un’impennata del 31,4%, il mais del 41%, sorgo e orzo del 38%, la soia del 9,5%. C’è ormai una incertezza endemica con la chiusura di fatto degli arrivi, soprattutto per i grani-base russi e ucraini. Da questo nasce il nervosismo degli operatori per le forniture a singhiozzo, per le consegne a singhiozzo dei contratti in essere dall’Est della Comunità. Le nostre piazze, che avevano finora mantenuto un atteggiamento rialzista, si adeguano, in una sessione di Borsa, ai livelli e ai rimpiazzi comunitari ed esteri, con rialzi tra i 40 e gli 80 euro a tonnellata”. Tutto il settore alimentare è in subbuglio e in grande sofferenza.

Si stanno facendo solo alcuni esempi dei riflessi che l’invasione russa in Ucraina provoca in tutto l’Occidente, soprattutto sull’Europa e su alcuni paesi come la Germania e l’Italia. L’impotenza a cui ci siamo assuefatti in questi anni porta a un risultato che, ripetiamo, può rivelarsi un boomerang terribile sul piano sociale ed economico in tutto l’Occidente.

Nel momento in cui saranno chiesti sacrifici agli italiani, ai Paesi dell’Unione Europea in genere, quale sarà la risposta? Abbiamo accennato al problema del rifornimento energetico e ai “sogni” della transizione ecologica, oltre ai problemi del settore agricolo. Ma potremmo fare un riassunto delle materie prime che continuano a mancare e che costringono le aziende a rivedere i loro piani di sviluppo, se riescono a restare aperte. E poi su tutto il costo della benzina, con l’Eni che non importa più petrolio dalla Russia. Non può stupire che oggi ci sarà una nuova protesta degli autotrasportatori.

Ma l’impressione è che siamo solo agli inizi di una svolta epocale tutt’altro che facile, che può diventare sociale oltre che militare. Forse sarebbe arrivato il momento di una grande trattativa mondiale, che investa tutte le grandi potenze e ristabilisca il minimo indispensabile per creare zone di influenza con cui, con la dovuta deterrenza e capacità diplomatica, si possa ristabilire una convivenza pacifica e una globalizzazione che non sia guidata solo dalle ragioni della finanza internazionale.

Il rischio del contrario di una simile iniziativa potrebbe essere una sconfitta generale, sia per chi vince sul campo, sia per chi subisce i contraccolpi economico-sociali.

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