Mario Draghi ha pronunciato la frase fatidica: economia di guerra; ha detto che non ci siamo ancora e molti allarmi sono esagerati, ma dobbiamo prepararci. Come, quando, da soli o insieme al resto dell’Unione europea? Sono queste le domande alle quali si attende risposta; ce l’aspettiamo da Bruxelles punto di riferimento chiave, ma anche e in prima battuta dal Governo italiano. Il vertice di Versailles è stato come al solito pieno di luci e ombre. Draghi ha spiegato la sua posizione. Cerchiamo di sintetizzare i punti più importanti.



1) In primo luogo occorre accelerare il distacco dalla Russia, Ursula von der Leyen parla del 2026 come obiettivo, un tempo troppo lungo e comunque non vale per tutti, Italia e Germania che sono i più dipendenti dovranno accelerare a un ritmo insostenibile senza l’aiuto di tutti. Ciò vuol dire che Roma e Berlino debbono mettere in cantiere subito piani energetici ambiziosi e coraggiosi, preparandosi anche a misure estreme come il razionamento se ce ne fosse bisogno, ma i loro programmi andranno inseriti in un vero e proprio piano europeo che stabilisca la possibilità di avere un mutuo sostegno da parte dei Paesi meno dipendenti, per esempio dalla Spagna per il gas liquefatto, dall’Olanda per il metano via gasdotto, dalla Francia per il nucleare e così via. Ma su questo le posizioni ancora divergono.



2) Un tetto ai prezzi del gas. Il ministro Roberto Cingolani ha tuonato contro le manovre speculative, Draghi ha detto che il solo parlare del tetto ha già fatto scendere il prezzo da 200 a 116 euro per megawattora. Tuttavia, sappiamo bene che i prezzi amministrati nascondono una contraddizione interna, perché rischiano di aumentare la scarsità dell’offerta. I Paesi dell’Ue alla caccia disperata di metano fuori dalla Russia potrebbero non trovarlo se offrono prezzi fuori mercato. Certo, gli Stati Uniti potrebbero compiere una scelta strategica e offrire gas a prezzo calmierato per ragioni politico-militari, come avvenne per il petrolio all’Inghilterra durante la Seconda guerra mondiale, ma siamo ancora lontani. 



3) Draghi ha parlato di divincolare il mercato elettrico, quindi anche le sue tariffe, dal mercato del gas. E di imporre una tassazione punitiva sugli extraprofitti delle società elettriche. Sono due provvedimenti che vanno consentiti e sostenuti dall’Ue, ma che toccano all’Italia. Le bollette elettriche italiane sono particolarmente squilibrate, non si capisce perché il prezzo per chilowattora dipenda dal gas mentre quasi il 40% dell’energia elettrica è prodotta con acqua, sole e vento, fonti che oggi sono più a buon mercato rispetto al metano. Per non parlare dei famigerati oneri di sistema (21,8% della bolletta). E questo ci porta dritti dritti al piano energetico nazionale. Si procede ancor oggi in ordine sparso, a cominciare dai gruppi energetici che hanno tutti lo Stato o comunque i poteri pubblici come azionisti di riferimento: Eni, Enel, Snam, Saipem, Terna, A2A, Acea. Il Governo dovrebbe riunirli attorno a un tavolo coinvolgendo anche i privati: la Edison dipende in minima parte dal gas e da quello russo, possedendo le grandi dighe alpine e avendo puntato sulle rinnovabili. È una misura pianificatoria da socialismo d’antan? Dopo l’11 settembre George W. Bush repubblicano liberista si coordinò con la Federale Reserve guidata dall’ultraliberista Alan Greenspan e con i big di Wall Street per impedire un collasso finanziario; dopo il crac della Lehman Brothers lo stesso Bush chiamò attorno a un tavolo i maggiori banchieri americani per decidere come intervenire e come coordinare acquisizioni, salvataggi e sostegni. Nessuno di loro aveva niente a che fare con la pianificazione socialista. Tutti, invece, avevano in testa la necessità di agire insieme di fronte all’emergenza. 

4) L’altro aspetto importante riguarda i sostegni, gli aiuti, gli interventi per ridurre l’impatto dell’inflazione sulle famiglie e sulle imprese. È chiaro che comporterà spendere ancora in deficit, quindi aggravare il debito: anche se in generale l’inflazione aiuta i debitori, il macigno italiano riduce già i margini di manovra. “Se l’economia dovesse indebolirsi occorrerà una risposta politica di bilancio che non può essere dei bilanci nazionali ma deve essere una risposta europea”, ha detto Draghi. I Paesi “frugali” fanno orecchie da mercante e nel consiglio della Bce hanno già spinto per confermare, sia pure a fine anno, una stretta sull’acquisto di titoli. Insistono sul “ritorno alla normalità” mentre è in corso una guerra che coinvolge l’intero continente. Il paradosso è che la Finlandia, direttamente minacciata dall’espansionismo putiniano, continua a guidare il fronte dell’austerità come se nulla fosse, con un vero riflesso pavloviano. Ursula von der Leyen è sensibile all’argomento di Draghi, appoggiato anche da Emmanuel Macron, tuttavia la Germania (l’azionista numero uno) non si è espressa. Si parla di emettere eurobond energetici, un recovery plan per l’energia, mentre l’Italia sta discutendo su come rivedere il Pnrr (e non si tratta solo di un aggiornamento). Intendiamoci, siamo solo agli inizi e l’Unione europea resta una macchina lenta nonostante la pandemia e ora la guerra in Ucraina. Una ragione in più perché l’Italia prepari al più presto il suo piano straordinario. 

Entro fine mese andrà presentato il Def e si stanno facendo già i conti sullo scostamento di bilancio. Si parla di un fondo ristori da un miliardo di euro. Il Governo studia come sostenere le imprese che esportano in Russia, come erogare altri fondi per la cassa integrazione, come sostenere l’edilizia colpita non solo dai costi dei materiali, ma anche dalla loro scarsità; bisognerà prevedere stanziamenti per l’impegno dei militari a sostegno dell’Ucraina e aumentare le spese militari: dopo la scelta tedesca l’Italia già impegnata in molti scacchieri internazionali dovrà fare altrettanto e Draghi lo ha detto. Sono tanti pezzi di un programma straordinario il cui perno resta comunque il piano energetico. Dobbiamo prepararci, dunque, dobbiamo farlo al più presto in modo consapevole, ordinato, mettendo insieme tutte le tessere, con la massima cooperazione. Non c’è spazio per cavalieri solitari, né per egoismi di parte, economici o politici che dir si voglia.

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