Il conflitto scatenato da Mosca colpisce anche il business dell’industria alimentare europea. Le multinazionali del food & beverage che avevano scelto di operare direttamente nel territorio russo si sono infatti dovute confrontare con uno scenario molto complicato che, in alcuni casi, ha portato alla cessazione obtorto collo delle attività nel Paese. Ultima nella rassegna della cronaca è la notizia della vendita o meglio della svendita, delle attività russe di Heineken ad Arnest Group, azienda locale che già possiede un’importante attività di confezionamento di lattine, ma soprattutto rappresenta il più grande produttore del Paese di cosmetici, articoli per la casa e imballaggi metallici per il settore dei beni di consumo in rapida evoluzione.
La decisione arriva dopo un iter tortuoso: il gigante olandese della birra aveva infatti annunciato di voler uscire dal mercato di Mosca nel marzo dello scorso anno, affermando che la presenza nel Paese non era più “sostenibile né redditizia” a seguito dell’intensificarsi della guerra in Ucraina. Poi ad aprile scorso, la società aveva chiesto alle autorità russe di approvare la vendita delle proprie attività nel Paese. Approvazione arrivata in questa fine estate, dando il via libera alla cessione del 100% delle azioni di Heineken Russia. Il tutto però per il prezzo simbolico di 1 euro. Un pessimo affare dal momento che nell’operazione l’azienda prevede di lasciare sul tappeto una perdita cumulativa totale di 300 milioni di euro. Il gruppo Arnest ha assunto la responsabilità dei 1.800 dipendenti di Heineken in Russia, fornendo garanzie occupazionali per i prossimi tre anni, ma non potrà utilizzare i marchi internazionale presenti nel portafoglio di Heineken con l’eccezione di una licenza triennale per alcuni brand regionali più piccoli che, secondo Heineken, è necessaria per garantire la continuità aziendale e l’approvazione della transazione.
Quello del colosso brassicolo non è però un caso isolato. Con un decreto ad hoc firmato a metà luglio, Putin ha infatti preso il controllo di Baltika Breweries, la filiale russa di Carlsberg. Una vera e propria espropriazione, seppur definita dal Cremlino come un “passaggio temporaneo” di gestione allo Stato russo. E che si tratti di un’azione di forza lo conferma in una nota la stessa società: “Il cambiamento nella gestione di Baltika Breweries è stato effettuato all’insaputa o senza l’approvazione di Carlsberg Group”. E tutto questo nonostante il mese scorso l’azienda avesse firmato un accordo per vendere la propria succursale, accordo che però non era ancora stato perfezionato. Ma non è tutto. La stessa sorte è infatti toccata anche a Danone, anch’essa in trattativa per vendere le proprie attività in Russia che invece sono state “requisite” dal Cremlino. Un attacco a cui il gigante francese “risponde” con il ritiro del marchio russo Prostokvashino e il lancio di un nuovo marchio ucraino, Prosto Nashe. Entrambe le succursali delle società europee sono state cedute a fedelissimi di Putin: il nipote del leader ceceno Ramzan Kadyrov, Jakub Zakriev, è stato infatti chiamato a guidare la filiale russa di Danone, mentre dopo 19 anni Taimuraz Bolloev è tornato al vertice del birrificio Baltika di proprietà di Carlsberg che aveva diretto dalla sua fondazione nel 1991 fino al 2004.
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