«Sono favorevole agli organismi non-profit, a patto però che non si sottraggano alle procedure di gara. È bene, infatti, chiarirsi su questo punto: la destinazione sociale dei profitti di un’impresa non può sottrarla alle regole della concorrenza valide per tutte le imprese, comprese le non-profit». A parlare è Linda Lanzillotta, ministro degli Affari regionali e delle Autonomie locali. Il tema è quello dei servizi di pubblica utilità e la valutazione del ministro riguarda la possibilità di affidare la gestione delle public utilities nel nostro Paese a imprese senza fini di lucro così come avviene, del resto, da tempo in Gran Bretagna.
Per Linda Lanzillotta parlare dei servizi di pubblica utilità significa analizzare l’ipotesi di una riforma dell’intero settore, che da più parti si ritiene ormai necessaria: «Migliori servizi a minor costo – spiega il ministro -. Così ritengo debbano essere pensati in Italia i servizi di pubblica utilità. Così ho immaginato un inizio di riforma del sistema che parta dai servizi pubblici locali: è una riforma che non taglia risorse, anzi ne libera: l’unica cosa che taglia sono le posizioni di rendita, le nicchie pubblico/private di monopolio, le zone grigie tra il mercato e la politica».
La «riforma» cui il ministro si riferisce è, ovviamente, l’azione intrapresa con il disegno di legge 772 che prevede, oltre all’obbligo di messa in gara di tutti i servizi pubblici locali, ad eccezione del servizio idrico assegnato, che gli stessi servizi pubblici vengano messi sul mercato. Un’azione riformatrice, dunque, che dovrebbe portare ad avere migliori servizi a minor costo e che si allinea con quanto altri Paesi hanno già sperimento e attuato con esiti positivi: su tutti, come detto, la Gran Bretagna, ma anche gli Stati Uniti.
«I servizi pubblici locali – spiega Linda Lanzillotta – costituiscono un settore molto rilevante della nostra economia e della nostra società. Dalla loro disponibilità e dalla loro efficienza dipende il benessere dei cittadini, la produttività delle imprese, la salute dei bilanci pubblici dei governi locali. Per questo confidiamo nella riforma dei servizi pubblici locali come in uno dei principali strumenti dell’azione riformatrice del Governo: un passaggio fondamentale per far ripartire l’Italia, garantire migliori servizi a costi più bassi per cittadini e imprese, aprire al mercato e alla concorrenza una larga area della nostra economia».
Riformare significa aprire il mercato alla concorrenza e garantire maggiore libertà di scelta ai cittadini, che essendo i fruitori dei servizi devono vedersi riconosciute, oltre alla qualità dei servizi offerti, anche le maggiori tutele possibili.
«Mentre a livello comunitario e nazionale – spiega ancora il ministro – si è ormai da tempo fissato il principio della concorrenza nel settore delle utilities, a livello locale queste sono rimaste in mano pubblica. Nonostante le spinte riformatrici della fine degli anni ’90, si è consolidata una situazione nella quale l’ente locale, che ha la responsabilità politica diretta della erogazione del servizio alla propria collettività, ne è anche gestore e controllore. L’intreccio di proprietà, gestione e controllo, la sovrapposizione del ruolo di policy-maker con quello di azionista ed erogatore del servizio, la mancanza di meccanismi di tutela dei consumatori, sono tutte condizioni che non favoriscono il massimo livello di efficienza».
E ancora: «Negli ultimi anni, in controtendenza rispetto a quanto succedeva negli altri livelli di Governo, è cresciuto il ruolo degli enti locali come gestori diretti di servizi: una recente inchiesta de Il Sole 24 Ore ha contato 891 partecipazioni attive degli enti locali nei servizi pubblici locali, con un aumento del 120% in cinque anni. In altri termini, c’è un settore rilevantissimo per la vita dei cittadini e delle imprese – basti pensare che nella media queste traggono il 38% degli input produttivi dalle utilities locali – che è erogato in assenza di concorrenza di mercato. E poiché l’assenza di concorrenza e lo sfruttamento di posizioni di rendita è il male cronico della nostra economia – un male che non è esclusiva del settore pubblico, ma che pervade anche alcuni settori già privatizzati ma non liberalizzati -, la soluzione che daremo al problema dei servizi pubblici locali può connotare il livello e la qualità del nostro sviluppo, di qui a pochi anni».
Perché ci sia concorrenza servono regole. Una concorrenza senza regole rischia di creare un cortocircuito a cui poi è difficile porre rimedio. Ne è consapevole il ministro: «Date le caratteristiche dei servizi di cui parliamo – l’elettricità, la nettezza urbana, il gas, i trasporti pubblici – non sempre l’introduzione della concorrenza nel mercato è praticabile; si tratta allora di scegliere strumenti e metodi per instaurare una concorrenza per il mercato. Il disegno di legge di riforma – una legge nazionale perché la materia della concorrenza, secondo la Costituzione, è di competenza esclusiva dello Stato – prende atto di questi problemi e introduce, come regola generale per l’assegnazione della gestione dei servizi pubblici locali, la gara ad evidenza pubblica. Tale regola, già prevista a metà degli anni ’90 (anche sull’onda degli scandali di Tangentopoli), poi è stata man mano dimenticata, soggetta a un tal numero di eccezioni da finire, di fatto, archiviata. Nell’articolato del nostro ddl, diventa invece la procedura ordinaria e indispensabile per l’assegnazione della gestione dei servizi pubblici, con la sola eccezione del servizio idrico. La differenza non sta, infatti, nella scelta tra pubblico e privato, ma nei criteri che determinano tale scelta: trasparenza, efficienza ed economicità. Gli unici in grado di garantire l’interesse primario del cittadino consumatore. Parallelamente, lasciando agli enti locali, alle società da essi partecipate e ai privati i dovuti tempi per riorganizzarsi, occorre che cresca un mercato di operatori economici capaci di essere all’altezza di questa sfida».
Una delle critiche mosse al ddl è che con esso lo spazio pubblico nel settore si riduce e laddove questo avviene il rischio è che i servizi non vengano garantiti per tutte le fasce sociali della popolazione. «In tale nuovo assetto – dice Linda Lanzillotta – il ruolo del “pubblico” non si riduce, ma si rafforza: dovrà esprimersi nella fissazione degli standard e delle garanzie, dunque nella determinazione dei bandi di gara e nella vigilanza sul loro esito; nell’elaborazione di competenze e sistemi di controllo che consentano di non cadere in quella che gli economisti chiamano “la cattura del regolatore”. Resterà pubblica la proprietà delle reti, data la loro rilevanza strategica e dato anche il fatto che, se fossero possedute da uno degli operatori privati, questi sarebbe in grado di condizionare l’accesso degli altri. Per questo il ddl sulle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali è uno dei pilastri del rilancio dell’azione riformatrice, dopo le asprezze e le fatiche della legge finanziaria: è una riforma che apre settori chiusi, che incide sulla vita quotidiana nei nostri paesi e nelle nostre città, che ribalta l’ottica delle passate privatizzazioni, ponendo la liberalizzazione come priorità e non come eventuale (e purtroppo spesso mancata) conseguenza dell’uscita del settore pubblico».
Per Linda Lanzillotta parlare dei servizi di pubblica utilità significa analizzare l’ipotesi di una riforma dell’intero settore, che da più parti si ritiene ormai necessaria: «Migliori servizi a minor costo – spiega il ministro -. Così ritengo debbano essere pensati in Italia i servizi di pubblica utilità. Così ho immaginato un inizio di riforma del sistema che parta dai servizi pubblici locali: è una riforma che non taglia risorse, anzi ne libera: l’unica cosa che taglia sono le posizioni di rendita, le nicchie pubblico/private di monopolio, le zone grigie tra il mercato e la politica».
La «riforma» cui il ministro si riferisce è, ovviamente, l’azione intrapresa con il disegno di legge 772 che prevede, oltre all’obbligo di messa in gara di tutti i servizi pubblici locali, ad eccezione del servizio idrico assegnato, che gli stessi servizi pubblici vengano messi sul mercato. Un’azione riformatrice, dunque, che dovrebbe portare ad avere migliori servizi a minor costo e che si allinea con quanto altri Paesi hanno già sperimento e attuato con esiti positivi: su tutti, come detto, la Gran Bretagna, ma anche gli Stati Uniti.
«I servizi pubblici locali – spiega Linda Lanzillotta – costituiscono un settore molto rilevante della nostra economia e della nostra società. Dalla loro disponibilità e dalla loro efficienza dipende il benessere dei cittadini, la produttività delle imprese, la salute dei bilanci pubblici dei governi locali. Per questo confidiamo nella riforma dei servizi pubblici locali come in uno dei principali strumenti dell’azione riformatrice del Governo: un passaggio fondamentale per far ripartire l’Italia, garantire migliori servizi a costi più bassi per cittadini e imprese, aprire al mercato e alla concorrenza una larga area della nostra economia».
Riformare significa aprire il mercato alla concorrenza e garantire maggiore libertà di scelta ai cittadini, che essendo i fruitori dei servizi devono vedersi riconosciute, oltre alla qualità dei servizi offerti, anche le maggiori tutele possibili.
«Mentre a livello comunitario e nazionale – spiega ancora il ministro – si è ormai da tempo fissato il principio della concorrenza nel settore delle utilities, a livello locale queste sono rimaste in mano pubblica. Nonostante le spinte riformatrici della fine degli anni ’90, si è consolidata una situazione nella quale l’ente locale, che ha la responsabilità politica diretta della erogazione del servizio alla propria collettività, ne è anche gestore e controllore. L’intreccio di proprietà, gestione e controllo, la sovrapposizione del ruolo di policy-maker con quello di azionista ed erogatore del servizio, la mancanza di meccanismi di tutela dei consumatori, sono tutte condizioni che non favoriscono il massimo livello di efficienza».
E ancora: «Negli ultimi anni, in controtendenza rispetto a quanto succedeva negli altri livelli di Governo, è cresciuto il ruolo degli enti locali come gestori diretti di servizi: una recente inchiesta de Il Sole 24 Ore ha contato 891 partecipazioni attive degli enti locali nei servizi pubblici locali, con un aumento del 120% in cinque anni. In altri termini, c’è un settore rilevantissimo per la vita dei cittadini e delle imprese – basti pensare che nella media queste traggono il 38% degli input produttivi dalle utilities locali – che è erogato in assenza di concorrenza di mercato. E poiché l’assenza di concorrenza e lo sfruttamento di posizioni di rendita è il male cronico della nostra economia – un male che non è esclusiva del settore pubblico, ma che pervade anche alcuni settori già privatizzati ma non liberalizzati -, la soluzione che daremo al problema dei servizi pubblici locali può connotare il livello e la qualità del nostro sviluppo, di qui a pochi anni».
Perché ci sia concorrenza servono regole. Una concorrenza senza regole rischia di creare un cortocircuito a cui poi è difficile porre rimedio. Ne è consapevole il ministro: «Date le caratteristiche dei servizi di cui parliamo – l’elettricità, la nettezza urbana, il gas, i trasporti pubblici – non sempre l’introduzione della concorrenza nel mercato è praticabile; si tratta allora di scegliere strumenti e metodi per instaurare una concorrenza per il mercato. Il disegno di legge di riforma – una legge nazionale perché la materia della concorrenza, secondo la Costituzione, è di competenza esclusiva dello Stato – prende atto di questi problemi e introduce, come regola generale per l’assegnazione della gestione dei servizi pubblici locali, la gara ad evidenza pubblica. Tale regola, già prevista a metà degli anni ’90 (anche sull’onda degli scandali di Tangentopoli), poi è stata man mano dimenticata, soggetta a un tal numero di eccezioni da finire, di fatto, archiviata. Nell’articolato del nostro ddl, diventa invece la procedura ordinaria e indispensabile per l’assegnazione della gestione dei servizi pubblici, con la sola eccezione del servizio idrico. La differenza non sta, infatti, nella scelta tra pubblico e privato, ma nei criteri che determinano tale scelta: trasparenza, efficienza ed economicità. Gli unici in grado di garantire l’interesse primario del cittadino consumatore. Parallelamente, lasciando agli enti locali, alle società da essi partecipate e ai privati i dovuti tempi per riorganizzarsi, occorre che cresca un mercato di operatori economici capaci di essere all’altezza di questa sfida».
Una delle critiche mosse al ddl è che con esso lo spazio pubblico nel settore si riduce e laddove questo avviene il rischio è che i servizi non vengano garantiti per tutte le fasce sociali della popolazione. «In tale nuovo assetto – dice Linda Lanzillotta – il ruolo del “pubblico” non si riduce, ma si rafforza: dovrà esprimersi nella fissazione degli standard e delle garanzie, dunque nella determinazione dei bandi di gara e nella vigilanza sul loro esito; nell’elaborazione di competenze e sistemi di controllo che consentano di non cadere in quella che gli economisti chiamano “la cattura del regolatore”. Resterà pubblica la proprietà delle reti, data la loro rilevanza strategica e dato anche il fatto che, se fossero possedute da uno degli operatori privati, questi sarebbe in grado di condizionare l’accesso degli altri. Per questo il ddl sulle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali è uno dei pilastri del rilancio dell’azione riformatrice, dopo le asprezze e le fatiche della legge finanziaria: è una riforma che apre settori chiusi, che incide sulla vita quotidiana nei nostri paesi e nelle nostre città, che ribalta l’ottica delle passate privatizzazioni, ponendo la liberalizzazione come priorità e non come eventuale (e purtroppo spesso mancata) conseguenza dell’uscita del settore pubblico».