«Oggi il sistema delle public utilities nel nostro Paese necessita di un’adeguata riforma che, a mio parere, dovrebbe svolgersi e realizzarsi sulla base del modello inglese che ritengo sia, almeno in Europa, il più adeguato per l’intero settore. Si tratta, infatti, di un modello che permette ai cittadini di avere ampia libertà di scelta e, nel contempo, di essere i veri protagonisti di un mercato concorrenziale. Sono i cittadini che decidono, in sostanza, a chi rivolgersi per avere quei servizi di pubblica utilità di cui necessitano e così, credo, dovrebbe avvenire anche in Italia».
A parlare è Bruno Tabacci, eletto nell’aprile del 2006 alla Camera dei deputati nelle fila dell’Udc e attualmente membro della Commissione Bilancio, tesoro e programmazione. I servizi di pubblica utilità sono un settore che Tabacci conosce bene anche grazie al fatto che, in passato, è stato consigliere d’amministrazione dell’Eni, della Snam e dell’Efibanca, e nel 1999-2000, prima di dimettersi per candidarsi al Parlamento, è stato presidente dell’Autocisa (la A15 Parma-La Spezia).
Tabacci non riesce a nascondere un certo sentimento di amarezza. In Gran Bretagna, a suo dire, le cose vanno diversamente mentre in Italia, complice probabilmente anche una certa volontà della politica di mantenere sempre ogni cosa uguale a se stessa, il settore è fermo da anni in fase di “stand by”, come a dire: «Lasciamo tutto com’è che tanto è inutile cambiare». All’orizzonte, le cose non sembrano avere prospettive di cambiamento anche se, dopo le liberalizzazioni della scorsa estate, qualcosa nelle prossime settimane, a finanziaria archiviata, potrebbe avvenire.
Dunque il modello inglese, per Tabacci, rappresenta l’esempio fuori dai confini italiani al quale si dovrebbe iniziare a guardare. «La Gran Bretagna – spiega – rappresenta un esempio di privatizzazione delle public utilities intelligente ed efficiente. Prima il Governo dell’allora primo ministro Margaret Thatcher, e poi il Governo successivo, quello del premier John Major, hanno collocato sul mercato le società pubbliche che erogano servizi di pubblica utilità attraverso il sistema della vendita diretta e dell’offerta pubblica di vendita. Il tutto è avvenuto controllando che venissero salvaguardati gli interessi degli utenti, attraverso l’istituzione di garanti. Sì, perché privatizzare le public utilities, e quindi venderle, ha senso se a guadagnarne sono sia il mercato che gli utenti e cioè coloro che devono usufruire dei servizi offerti. Oggi l’Italia mi sembra molto lontana da questo modello e una spinta nel nostro Paese verso l’adozione di un modello similare a quello della Gran Bretagna ritengo sia del tutto opportuna e auspicabile. È un po’ l’esatto opposto di quanto, ad esempio, ha fatto Filippo Penati a Milano il quale, invece, mi pare abbia voluto semplicemente avere il controllo di ogni servizio senza concedere libertà di scelta. Non è un problema solo di Milano. È un problema che riguarda la gran parte delle nostre amministrazioni pubbliche: chi le governa preferisce controllare ogni cosa ma nel contempo sembra meno interessato alla qualità dei servizi di pubblica utilità che vengono offerti».
Secondo Tabacci, un’adeguata azione che porti alla liberalizzazione del sistema che governa i servizi di pubblica utilità deve partire da una minore invadenza dello Stato: «Non credo – spiega – ci possa essere altra soluzione. In fondo, lo scopo dovrebbe essere quello di applicare il principio di sussidiarietà al sistema di governance dei servizi di pubblica utilità. Non mi riferisco, ovviamente, ad un mero spostamento di competenze dallo Stato alle Regioni o alle Province o ai Comuni. Se così fosse non cambierebbe nulla, soprattutto per i cittadini. Niente di tutto questo. Allo Stato (o alle Regioni, alle Province e ai Comuni) credo spetti piuttosto, come unica competenza, quella di dettare le regole del gioco, di stabilire i confini entro i quali successivamente altri soggetti devono essere lasciati liberi di muoversi previo un controllo esterno sul loro operato. E questi soggetti devono accettare la sfida del mercato, della libera concorrenza che automaticamente garantisce la libertà di scelta dei cittadini. Perché è questa libertà di scelta che permette, a mio avviso, che i servizi siano degni delle aspettative della gente, degli utenti, dei fruitori. E ancora, in questo senso, non ritengo sia importante stabilire a priori se chi gestisce i servizi siano aziende profit o non profit. L’unica cosa importante è la qualità del servizio offerto ed è innanzitutto su questo parametro che va giudicata l’azione di chi decide di entrare nel mercato, e quindi di offrire i propri servizi. Certo esistono, in altri settori, precedenti ai quali si può e si deve guardare: mi vengono in mente, ad esempio, la nascita in Italia delle fondazioni bancarie, che ha permesso di ristrutturare e modernizzare il sistema bancario nazionale, un sistema che era indietro coi tempi e troppo centralizzato. Le fondazioni hanno potuto operare in autonomia e i cittadini, credo, ne hanno tratto vantaggi indubitabili».
In Italia, al di là dell’ingessatura propria del settore, esiste un’eccezione positiva. Secondo Tabacci essa risiede nel modello della Terna-Rete Elettrica Nazionale. È una società responsabile in Italia della trasmissione e del dispacciamento dell’energia elettrica sulla rete ad alta e altissima tensione. «Dentro la rete Terna – spiega Tabacci – possono accedere diversi operatori privati. È, quindi, in piccolo, un modo per liberalizzare il settore e un esempio che mi sembra positivo e a cui rifarsi. Terna garantisce l’equilibrio tra l’energia richiesta e quella prodotta. La gestione in sicurezza del sistema elettrico nazionale viene effettuata dal Centro Nazionale di Controllo e dai Centri Territoriali. Terna cura l’efficienza delle infrastrutture e della manutenzione. Attraverso i centri di teleconduzione, Terna manovra i propri impianti e ne monitora il funzionamento. Certo Terna non risolve tutti i problemi che riguardano il settore energia nel nostro Paese, ma resta comunque un esempio significativo e forse unico in Italia».
Dall’energia all’acqua, dalle ferrovie al trasporto pubblico locale, fino al gas e ai rifiuti, sono tanti i settori che necessiterebbero di un’adeguata svolta sussidiaria che porti il cittadino ad essere al centro dell’intero sistema. Oggi, nel nostro Paese, si riscontrano in questo senso parecchie resistenze, lo si è visto anche dalle evidenti difficoltà che ha dovuto affrontare il Governo Prodi la scorsa estate, quando ha iniziato – al di là della discutibilità o meno di alcune iniziative – un’importante ed anche rilevante opera di liberalizzazione del Paese, opera che ha toccato i più disparati settori e che ancora oggi sembra poter proseguire a macchia d’olio, andando a toccare quei comparti che ancora non sono stati liberalizzati. «In Italia – continua Tabacci – è evidente che a mancare è un atteggiamento intellettualmente onesto. Quando si cerca di garantire più competitività la politica si ritrae, perché ciò a cui essa mira è il mantenimento del potere. I sindaci delle nostre città vogliono mantenere il controllo di tutto per avere nelle proprie mani il potere. Se si fosse più onesti, le cose potrebbero finalmente iniziare a cambiare».
A parlare è Bruno Tabacci, eletto nell’aprile del 2006 alla Camera dei deputati nelle fila dell’Udc e attualmente membro della Commissione Bilancio, tesoro e programmazione. I servizi di pubblica utilità sono un settore che Tabacci conosce bene anche grazie al fatto che, in passato, è stato consigliere d’amministrazione dell’Eni, della Snam e dell’Efibanca, e nel 1999-2000, prima di dimettersi per candidarsi al Parlamento, è stato presidente dell’Autocisa (la A15 Parma-La Spezia).
Tabacci non riesce a nascondere un certo sentimento di amarezza. In Gran Bretagna, a suo dire, le cose vanno diversamente mentre in Italia, complice probabilmente anche una certa volontà della politica di mantenere sempre ogni cosa uguale a se stessa, il settore è fermo da anni in fase di “stand by”, come a dire: «Lasciamo tutto com’è che tanto è inutile cambiare». All’orizzonte, le cose non sembrano avere prospettive di cambiamento anche se, dopo le liberalizzazioni della scorsa estate, qualcosa nelle prossime settimane, a finanziaria archiviata, potrebbe avvenire.
Dunque il modello inglese, per Tabacci, rappresenta l’esempio fuori dai confini italiani al quale si dovrebbe iniziare a guardare. «La Gran Bretagna – spiega – rappresenta un esempio di privatizzazione delle public utilities intelligente ed efficiente. Prima il Governo dell’allora primo ministro Margaret Thatcher, e poi il Governo successivo, quello del premier John Major, hanno collocato sul mercato le società pubbliche che erogano servizi di pubblica utilità attraverso il sistema della vendita diretta e dell’offerta pubblica di vendita. Il tutto è avvenuto controllando che venissero salvaguardati gli interessi degli utenti, attraverso l’istituzione di garanti. Sì, perché privatizzare le public utilities, e quindi venderle, ha senso se a guadagnarne sono sia il mercato che gli utenti e cioè coloro che devono usufruire dei servizi offerti. Oggi l’Italia mi sembra molto lontana da questo modello e una spinta nel nostro Paese verso l’adozione di un modello similare a quello della Gran Bretagna ritengo sia del tutto opportuna e auspicabile. È un po’ l’esatto opposto di quanto, ad esempio, ha fatto Filippo Penati a Milano il quale, invece, mi pare abbia voluto semplicemente avere il controllo di ogni servizio senza concedere libertà di scelta. Non è un problema solo di Milano. È un problema che riguarda la gran parte delle nostre amministrazioni pubbliche: chi le governa preferisce controllare ogni cosa ma nel contempo sembra meno interessato alla qualità dei servizi di pubblica utilità che vengono offerti».
Secondo Tabacci, un’adeguata azione che porti alla liberalizzazione del sistema che governa i servizi di pubblica utilità deve partire da una minore invadenza dello Stato: «Non credo – spiega – ci possa essere altra soluzione. In fondo, lo scopo dovrebbe essere quello di applicare il principio di sussidiarietà al sistema di governance dei servizi di pubblica utilità. Non mi riferisco, ovviamente, ad un mero spostamento di competenze dallo Stato alle Regioni o alle Province o ai Comuni. Se così fosse non cambierebbe nulla, soprattutto per i cittadini. Niente di tutto questo. Allo Stato (o alle Regioni, alle Province e ai Comuni) credo spetti piuttosto, come unica competenza, quella di dettare le regole del gioco, di stabilire i confini entro i quali successivamente altri soggetti devono essere lasciati liberi di muoversi previo un controllo esterno sul loro operato. E questi soggetti devono accettare la sfida del mercato, della libera concorrenza che automaticamente garantisce la libertà di scelta dei cittadini. Perché è questa libertà di scelta che permette, a mio avviso, che i servizi siano degni delle aspettative della gente, degli utenti, dei fruitori. E ancora, in questo senso, non ritengo sia importante stabilire a priori se chi gestisce i servizi siano aziende profit o non profit. L’unica cosa importante è la qualità del servizio offerto ed è innanzitutto su questo parametro che va giudicata l’azione di chi decide di entrare nel mercato, e quindi di offrire i propri servizi. Certo esistono, in altri settori, precedenti ai quali si può e si deve guardare: mi vengono in mente, ad esempio, la nascita in Italia delle fondazioni bancarie, che ha permesso di ristrutturare e modernizzare il sistema bancario nazionale, un sistema che era indietro coi tempi e troppo centralizzato. Le fondazioni hanno potuto operare in autonomia e i cittadini, credo, ne hanno tratto vantaggi indubitabili».
In Italia, al di là dell’ingessatura propria del settore, esiste un’eccezione positiva. Secondo Tabacci essa risiede nel modello della Terna-Rete Elettrica Nazionale. È una società responsabile in Italia della trasmissione e del dispacciamento dell’energia elettrica sulla rete ad alta e altissima tensione. «Dentro la rete Terna – spiega Tabacci – possono accedere diversi operatori privati. È, quindi, in piccolo, un modo per liberalizzare il settore e un esempio che mi sembra positivo e a cui rifarsi. Terna garantisce l’equilibrio tra l’energia richiesta e quella prodotta. La gestione in sicurezza del sistema elettrico nazionale viene effettuata dal Centro Nazionale di Controllo e dai Centri Territoriali. Terna cura l’efficienza delle infrastrutture e della manutenzione. Attraverso i centri di teleconduzione, Terna manovra i propri impianti e ne monitora il funzionamento. Certo Terna non risolve tutti i problemi che riguardano il settore energia nel nostro Paese, ma resta comunque un esempio significativo e forse unico in Italia».
Dall’energia all’acqua, dalle ferrovie al trasporto pubblico locale, fino al gas e ai rifiuti, sono tanti i settori che necessiterebbero di un’adeguata svolta sussidiaria che porti il cittadino ad essere al centro dell’intero sistema. Oggi, nel nostro Paese, si riscontrano in questo senso parecchie resistenze, lo si è visto anche dalle evidenti difficoltà che ha dovuto affrontare il Governo Prodi la scorsa estate, quando ha iniziato – al di là della discutibilità o meno di alcune iniziative – un’importante ed anche rilevante opera di liberalizzazione del Paese, opera che ha toccato i più disparati settori e che ancora oggi sembra poter proseguire a macchia d’olio, andando a toccare quei comparti che ancora non sono stati liberalizzati. «In Italia – continua Tabacci – è evidente che a mancare è un atteggiamento intellettualmente onesto. Quando si cerca di garantire più competitività la politica si ritrae, perché ciò a cui essa mira è il mantenimento del potere. I sindaci delle nostre città vogliono mantenere il controllo di tutto per avere nelle proprie mani il potere. Se si fosse più onesti, le cose potrebbero finalmente iniziare a cambiare».