“Le Regioni sono oggi dei ‘brillantissimi catafalchi’ che prima spendono le risorse dello Stato e poi, quel poco che rimane, lo distribuiscono. È il mestiere più bello del mondo: spendere e, insieme, distribuire risorse. A differenza dei Comuni i quali, invece, sono oggi costretti a vivere e a sopravvivere per l’80% di risorse proprie. A mio avviso, se una riforma del federalismo fiscale deve esserci, va attuata nel segno di una maggiore responsabilizzazione delle Regioni nell’uso del gettito fiscale. Questo è il problema e insieme l’urgenza principale”.
Così Massimo Cacciari, sindaco di una città, Venezia, al centro di quel nordest produttivo e imprenditoriale che da anni manifesta esigenze di maggiore indipendenza fiscale, anche se ancora non ha avuto risposte concrete dal governo centrale. Eppure, qualcosa potrebbe cambiare a breve se è vero che – come ha detto pochi giorni fa il segretario dei Ds, Piero Fassino -, la riforma del federalismo fiscale che sarà discussa dal consiglio dei Ministri il 15 giugno è “un provvedimento che va incontro alle richieste del nord, che vede una differenza tra i tempi della società e i tempi delle istituzioni”.
Una differenza, quest’ultima, che sembra non giovare soprattutto alla Regione Veneto. Qui, stando ai dati emersi settimana scorsa alla presentazione della ricerca I costi del non federalismo – un confronto tra Veneto, Regioni italiane ed esperienze di decentramento in Europa realizzata da Unioncamere del Veneto in collaborazione con la Regione – la mancata attuazione del federalismo fiscale ha prodotto una situazione di stallo che danneggia soprattutto le Regioni più dinamiche del nostro Paese, prime fra tutte Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna.
“Tutti – spiega Cacciari – parlano di federalismo e insieme di federalismo fiscale. Ma occorre capire bene cosa significa. Federalismo fiscale per me significa innanzitutto decostruire il sistema di finanza centralizzata che ha dominato il nostro Paese dall’unità d’Italia in poi. È la finanza più centralizzata d’Europa, paragonabile a quella degli Stati assoluti”. E, infatti, i dati parlano chiaro: la pressione tributaria italiana – causata anche da una mancata redistribuzione delle risorse – è del 28,1%, ben più elevata rispetto a quella di Spagna (22,5%) e Germania (22%). L’indice di decentramento della spesa è pari al 32,5%: ciò significa che in Italia circa un terzo della spesa pubblica è attribuibile a Regioni, Province e Comuni, con lo Stato e gli Enti previdenziali a controllare i rimanenti due terzi.
“Occorre – dice ancora Cacciari – capire se federalismo fiscale significa semplicemente una contrattazione che lo Stato porta avanti con le Regioni per vedere se attuare o meno dei trasferimenti sulla base di qualche criterio predefinito – sarebbe semplicemente rendere un po’ meno iniqua l’attuale distribuzione degli introiti fiscali – oppure se per federalismo fiscale s’intende un’altra cosa, e cioè partire dal gettito delle Regioni e in particolare dall’Irpef di ogni Regione e, basandosi su quel gettito, calcolare quanto le diverse Regioni costino e, quindi, quanti servizi debba ancora gestire lo Stato e quanti invece possano essere gestiti dalle stesse Regioni autonomamente. Ad esempio: in Lombardia l’introito fiscale Irpef è – poniamo una cifra a caso – cento. Bene: si valuta quanto la Lombardia spende per quei servizi che sono a carico dello Stato centrale – esercito, difesa, sicurezza, università, ricerca etc. – e si lascia che sia lei a gestirsi questi servizi. Poi – è evidente – ci sarà anche un patto di solidarietà nazionale per non ridistribuire le risorse solo ad alcune Regioni a discapito di altre. Ma la cosa importante è partire dal gettito Irpef delle diverse Regioni. È, nella sostanza, un meccanismo redistributivo che, invece di partire dall’alto, parte dal basso. Sono insomma le Regioni che destinano quote delle loro risorse ai servizi di carattere nazionale e – con un patto di solidarietà – alle Regioni del Paese che occorre sostenere nel loro sviluppo”.
In pratica si tratta di invertire il cono: non più lo Stato che eroga servizi, ma le Regioni, che con le giuste risorse si adoperano per erogarli al meglio. “È così – continua Cacciari – anche se è evidente che la sussidiarietà, e quindi il federalismo fiscale, debbano andare insieme a una maggiore responsabilità: le Regioni sono cioè direttamente responsabili del gettito fiscale e la parola responsabilità deve essere bene sottolineata. Le Regioni, insomma, devono darsi da fare e dimostrare di saper svolgere i compiti che dicono di voler svolgere”. Analizzando le spese di funzionamento nei Paesi Ue, si nota come il federalismo generi una migliore efficienza amministrativa. Nei Paesi federali, infatti, la razionale allocazione della spesa pubblica produce una riduzione degli oneri superflui e delle inefficienze. Nei Paesi dove la spesa pubblica è maggiormente decentrata le spese di funzionamento degli apparati amministrativi sono mediamente più basse che negli altri Paesi. In Italia le spese di funzionamento dello Stato centrale sono più elevate di quelle degli Enti locali. Ne deriva che le amministrazioni periferiche sono più efficienti dello Stato centrale.
“Il problema – dice Cacciari – riguarda anche il ritardo tutto italiano nell’attuazione del federalismo, ritardo che produce costi molti elevati ed inevitabili ricadute sulle capacità di spesa delle Regioni più virtuose. Tra l’altro, se ci fosse meno ritardo e più efficienza, ogni Regione potrebbe senza problemi decidere autonomamente come destinare le risorse e quindi decidere, ad esempio, se aiutare e come aiutare le imprese del proprio territorio a crescere e dunque a creare sviluppo. Se abbiamo noi le risorse siamo noi che decidiamo politiche di sostegno alle imprese: è evidente. Sarebbe un rovesciamento della piramide e forse finalmente le imprese comincerebbero a vedere i fatti seguire le parole, cosa che fino a oggi non mi sembra sia accaduta, anche nel nord produttivo”.



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