In questi mesi si sta giocando una partita decisiva per la sussidiarietà. Il federalismo fiscale è come la benzina per un motore a scoppio: per quanto evoluto, il motore della riforma federale non potrà mai essere realmente acceso senza federalismo fiscale. Anzi, mantenere un modello di sostanziale “finanza derivata” in un Paese che, con la riforma costituzionale del 2001, ha decentrato forti competenze legislative, crea enormi confusioni, dissocia la responsabilità impositiva da quella di spesa, rende ingovernabili i conti pubblici. Non solo gli enti locali, ma nemmeno le strutture statali accettano davvero la nuova logica federalista: si duplicano così strutture e inefficienze.
E’ quindi significativa la recente iniziativa governativa per una legge di attuazione del federalismo fiscale. Il terreno è stato preparato dall’imponente lavoro dell’Alta Commissione (2003-2006) e ora procede il confronto con Regioni e autonomie locali.
Molti sono i grandi temi in discussione, non deve però essere sottovalutata la partita dei tributi propri se si vuole cogliere l’occasione per modernizzare il Paese. I cosiddetti “tributi propri” dell’art. 119 della Costituzione sono un oggetto di fatto sconosciuto: oggi in tale categoria rientra solo la modestissima tassa regionale per la raccolta dei tartufi! Da quando, infatti, nel 2003 la Corte costituzionale ha qualificato come tributi propri solo quelli istituiti con legge regionale, l’esito paradossale è stato il congelamento della potestà impositiva regionale, in attesa di una legge statale di coordinamento della finanza pubblica.
Eppure i tributi propri (autonomi e derivati) potrebbero costituire un terreno ideale per l’applicazione del principio di sussidiarietà: diverse Regioni, già nell’ambito dei pur limitati margini di manovra che avevano prima della riforma del Titolo V della Costituzione, hanno – ad esempio – esentato le Onlus dall’Irap, sgravando gli enti che con la loro azione concorrono al benessere sociale. Poi il processo si è fermato in attesa della legge statale di coordinamento.
L’attuale proposta governativa sembra finalmente sbloccare la questione, ma sul punto può essere migliorata con soluzioni innovative. E’ ancora troppo “sotto tutela” statale la possibilità per le Regioni e gli Enti locali di sviluppare un’autonoma politica fiscale attraverso deduzioni, detrazioni e rimodulazioni della base imponibile dei tributi regionali e locali. Solo una reale libertà di abbassare la pressione fiscale consentirebbe a Regioni ed Enti locali di realizzare un quadro veramente organico di attuazione della sussidiarietà.
Peraltro, questa libertà potrebbe svilupparsi solo come flessibilità verso il basso, mentre – tranquillizzando tutti – verso l’alto lo Stato potrebbe fissare tetti d’incremento massimo. Un esempio per chiarire: nel settore delle Public utilities molti auspicano una maggiore presenza di soggetti non profit, perché possono rimediare sia ai fallimenti del mercato che a quelli dello Stato. In altri ordinamenti tali soggetti hanno, infatti, sviluppato politiche davvero innovative a vantaggio degli utenti.
Nel nostro contesto un’eventuale esenzione regionale dall’Irap a favore di questi soggetti che non perseguono fine di lucro si tradurrebbe in una riduzione dei costi delle utenze (acqua, gas, ecc.). In altre parole, l’esenzione Irap andrebbe a sgravare le bollette dei cittadini.
Un effetto analogo si realizzerebbe consentendo la detrazione dai tributi regionali (ad esempio dall’addizionale regionale Irpef) di quelle svariate forme di bonus o voucher (per anziani, scuola, disabili, ecc.) sviluppate dal welfare regionale. Evitando tutta una serie di complicati passaggi burocratici, si lascerebbero fin dall’inizio i soldi alle famiglie evitando l’illogico meccanismo “prelievo e poi ridistribuzione” delle medesime risorse.
La stessa direttrice potrebbe applicarsi per le imprese, riportando dentro la fiscalità molti dei trasferimenti ad esse mirati, che oggi si traducono in spesa pubblica ad alto impiego di burocrazia. L’imposta candidata alla ricezione di tali incentivi sarebbe in particolare l’Irap, la cui riduzione potrebbe così avvenire nel contesto di forti semplificazioni e di trasparente rilancio della produzione, fino a permettere la sperimentazione – preziosa soprattutto per il Sud – di forme innovative di fiscalità regionale di vantaggio.
E’ quindi significativa la recente iniziativa governativa per una legge di attuazione del federalismo fiscale. Il terreno è stato preparato dall’imponente lavoro dell’Alta Commissione (2003-2006) e ora procede il confronto con Regioni e autonomie locali.
Molti sono i grandi temi in discussione, non deve però essere sottovalutata la partita dei tributi propri se si vuole cogliere l’occasione per modernizzare il Paese. I cosiddetti “tributi propri” dell’art. 119 della Costituzione sono un oggetto di fatto sconosciuto: oggi in tale categoria rientra solo la modestissima tassa regionale per la raccolta dei tartufi! Da quando, infatti, nel 2003 la Corte costituzionale ha qualificato come tributi propri solo quelli istituiti con legge regionale, l’esito paradossale è stato il congelamento della potestà impositiva regionale, in attesa di una legge statale di coordinamento della finanza pubblica.
Eppure i tributi propri (autonomi e derivati) potrebbero costituire un terreno ideale per l’applicazione del principio di sussidiarietà: diverse Regioni, già nell’ambito dei pur limitati margini di manovra che avevano prima della riforma del Titolo V della Costituzione, hanno – ad esempio – esentato le Onlus dall’Irap, sgravando gli enti che con la loro azione concorrono al benessere sociale. Poi il processo si è fermato in attesa della legge statale di coordinamento.
L’attuale proposta governativa sembra finalmente sbloccare la questione, ma sul punto può essere migliorata con soluzioni innovative. E’ ancora troppo “sotto tutela” statale la possibilità per le Regioni e gli Enti locali di sviluppare un’autonoma politica fiscale attraverso deduzioni, detrazioni e rimodulazioni della base imponibile dei tributi regionali e locali. Solo una reale libertà di abbassare la pressione fiscale consentirebbe a Regioni ed Enti locali di realizzare un quadro veramente organico di attuazione della sussidiarietà.
Peraltro, questa libertà potrebbe svilupparsi solo come flessibilità verso il basso, mentre – tranquillizzando tutti – verso l’alto lo Stato potrebbe fissare tetti d’incremento massimo. Un esempio per chiarire: nel settore delle Public utilities molti auspicano una maggiore presenza di soggetti non profit, perché possono rimediare sia ai fallimenti del mercato che a quelli dello Stato. In altri ordinamenti tali soggetti hanno, infatti, sviluppato politiche davvero innovative a vantaggio degli utenti.
Nel nostro contesto un’eventuale esenzione regionale dall’Irap a favore di questi soggetti che non perseguono fine di lucro si tradurrebbe in una riduzione dei costi delle utenze (acqua, gas, ecc.). In altre parole, l’esenzione Irap andrebbe a sgravare le bollette dei cittadini.
Un effetto analogo si realizzerebbe consentendo la detrazione dai tributi regionali (ad esempio dall’addizionale regionale Irpef) di quelle svariate forme di bonus o voucher (per anziani, scuola, disabili, ecc.) sviluppate dal welfare regionale. Evitando tutta una serie di complicati passaggi burocratici, si lascerebbero fin dall’inizio i soldi alle famiglie evitando l’illogico meccanismo “prelievo e poi ridistribuzione” delle medesime risorse.
La stessa direttrice potrebbe applicarsi per le imprese, riportando dentro la fiscalità molti dei trasferimenti ad esse mirati, che oggi si traducono in spesa pubblica ad alto impiego di burocrazia. L’imposta candidata alla ricezione di tali incentivi sarebbe in particolare l’Irap, la cui riduzione potrebbe così avvenire nel contesto di forti semplificazioni e di trasparente rilancio della produzione, fino a permettere la sperimentazione – preziosa soprattutto per il Sud – di forme innovative di fiscalità regionale di vantaggio.