In questi giorni è in corso di definizione l’accordo tra le Regioni in tema di federalismo fiscale, ed un aspetto delicato riguarda il fondo di perequazione.
E’ noto che per federalismo fiscale si intende il nuovo assetto delle finanze pubbliche, alla luce dell’autonomia di entrata e di spesa che la Costituzione riconosce agli enti territoriali. Questo assetto sarà effettivo soltanto con l’approvazione della legge dello Stato che disciplini i principi fondamentali di “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, e che istituisca il fondo perequativo necessario per riequilibrare le condizioni finanziarie tra gli enti territoriali. Ma la riforma costituzionale del 2001 è stata assai laconica sul punto, prevedendo solo l’assenza del vincolo di destinazione e la destinazione a favore dei “territori con minore capacità fiscale per abitante” (articolo 119, comma 3, della Costituzione). Il primo limite significa che non si può imporre alle istituzioni locali che beneficeranno del fondo di perequazione, di utilizzare quanto ricevuto secondo indicazioni provenienti “dall’alto” o comunque da altri. Il resto, però, appare rimesso alla scelta politica che si farà in sede di attuazione del dettato costituzionale. Si spiega così il rilievo delle trattative in corso tra le Regioni e con le associazioni rappresentative degli enti territoriali: nessuna maggioranza parlamentare affronterebbe un tema così spinoso senza avere alle spalle l’accordo e il sostegno preventivo delle istituzioni locali.
Innanzitutto, deve decidersi se le risorse finanziarie debbano andare soltanto dallo Stato agli enti territoriali (“perequazione verticale”), oppure se si possa ricorrere anche alla cosiddetta “perequazione orizzontale”, in modo che gli stessi enti – e soprattutto le Regioni, considerata la loro capacità di istituire tributi con legge – provvedano a ridistribuire le risorse loro proprie a favore degli enti, per così dire, più poveri. Gli enti territoriali saranno soltanto i destinatari del fondo perequativo, oppure contribuiranno attivamente a determinarlo? La domanda appare meno retorica di quanto appaia: se è vero che le attuali condizioni finanziarie delle Regioni non fanno immaginare trasferimenti orizzontali per così dire “reali”, questione diversa è consentire – per di più in ossequio al principio solidaristico imposto dall’articolo 2 della Costituzione – un certo effetto redistributivo dell’ammontare complessivo delle risorse disponibili, che adesso sono per gran parte il prodotto del trasferimento dallo Stato, ma che a regime saranno in gran parte il frutto delle autonome capacità impositive.
In secondo luogo, come si devono individuare i “territori con minore capacità fiscale per abitante” che, per Costituzione, sarebbero i destinatari del fondo perequativo? Oltre al problema – niente affatto nominalistico – di quale sarebbero i veri destinatari dell’intervento perequativo (dato che il “territorio” è cosa diversa dall’ente territoriale), diventa dirimente la scelta delle condizioni cui subordinare l’acquisizione del diritto all’intervento perequativo. In definitiva, è cruciale il rapporto che si intende assicurare tra il principio di solidarietà e quelli di responsabilità ed efficienza. E’ evidente che l’intervento perequativo, determinato da parametri legati ad esclusivi intenti solidaristici, non inciderebbe su comportamenti parassitari o inefficienti delle amministrazioni locali, ma al contrario potrebbe facilitarli. Appare allora opportuno che l’accesso al fondo perequativo sia commisurato a canoni che tengano conto degli standard raggiunti dalle istituzioni più efficienti sia nell’erogazione dei servizi pubblici che nel reperimento delle risorse, non solo per assicurare il minimum di risorse indispensabile per l’erogazione delle prestazioni dovute a tutti i cittadini, ma anche per innescare meccanismi virtuosi nell’amministrazione delle cosa pubblica a livello locale.